lunedì 2 agosto 2010

OGGETTO E METODO DELLA SOCIOLOGIA: PARLANO I CLASSICI

Durkheim, Simmel, Weber, Elias
A cura di Anna Rita Calabrò
Sintesi di Serafin Marilisa



INTRODUZIONE


La sociologia è quella disciplina capace di indicare la giusta prospettiva per guardare ciò che ci sembra di vedere ogni giorno. Per rendere semplice ciò che ci sembra complesso e complesso ciò che potrebbe sembrarci semplice.
Un buon sociologo è colui che ci offre un buon metodo per guardare la realtà, perchè non basta l'intuito, né il buon senso, né una sola prospettiva per interpretarla. Ci vuole un ragionamento più rigoroso e uno sguardo più acuto. Salendo sulle spalle di alcuni autori, definiti giganti, forse il nostro sguardo può andare lontano.
Durkheim e Weber hanno definito due paradigmi differenti - il paradigma della struttura e quello dell'azione - che, nel corso del tempo, hanno mantenuto intatti il valore scientifico e la loro forza persuasiva. La sociologia è diventata la scienza di una società via via sempre più complessa e, per vincere tale sfida, deve serrare i suoi ranghi, cercare la sinergia e non la contrapposizione tra i suoi adepti, potenziare in tal modo le sue risorse e i suoi strumenti esplicativi.
Le risposte alle tre domande:
- qual'è l'oggetto della sociologia?
- quale il metodo?
- come concettualizzare il rapporto tra l'individuo e la società?
costituiscono le basi dei due paradigmi.

Auguste Comte
La sociologia, la scienza della società, come la definisce Comte, si afferma in un'epoca in cui il Positivismo, figlio dell'Illuminismo, pone definitivamente l'uomo al centro del suo mondo, in grado di comprenderne i segreti e di governarne gli eventi. La rivoluzione scientifica, l'avvento della modernità; la rivoluzione francese e quella americana che affermano il principio di uguaglianza; infine la nascita del capitalismo, che offre la possibilità di guadagnare stipulando contratti di lavoro in un regime di libertà personale -> La complessità di questi eventi richiede allora nuovi strumenti d'interpretazione dei fatti ed è da questa esigenza che nasce la sociologia con l'ambizione di individuare nella società quelle stesse leggi universali che regolano la natura. Conoscere al fine di prevedere, al fine di controllare, dichiara Comte che intende applicare il metodo sperimentale alla nuova disciplina che lui stesso battezza coniandone il nome.
La sociologia come la fisica: se l'universo ha le sue leggi, allora anche la società ha leggi analoghe.
La sociologia come la biologia: la società come un corpo vivente, le sue istituzioni come gli organi vitali di tale corpo che, assolvendo le proprie funzioni, e assicurano la sopravvivenza e lo sviluppo; l'osservazione scientifica come strumento per analizzarne le parti, capirne i segreti, curarne i mali, indirizzarne lo sviluppo.

Antony Giddens, Nuove Regole del metodo sociologico, 1976, p.14: «resta abbastanza diffusa una specie di struggente attesa dell'arrivo di un Newton delle scienza sociali... senonché coloro che ancora aspettano... non solo attendono un treno che non arriverà, ma stanno anche nella stazione sbagliata».
Per il momento (nella Francia della prima metà dell'800) l'illusione è perfetta, tant'è che l'obiettivo dichiarato da Comte è fondare una scienza che, in un mondo ormai secolarizzato, rappresenti la nuova religione fondata sull'ordine legale. La sociologia come la scienza per eccellenza, in grado di scoprire le leggi dell'ordine sociale e gli strumenti per mantenerlo.

Herbert Spencer
Gli fa da controvoce dall'Inghilterra. Egli afferma che, come gli organismi biologici, anche le società si evolvono dalle forme più semplici e primitive a quelle più complesse e differenziate. L'aumento delle dimensioni comporta inevitabilmente l'esigenza di differenziare le funzioni; ciò detrmina un cambiamento della struttura complessiva del sistema. (...)
Parole chiave: complessità, interdipendenza, differenziazione sociale.

Émile Durkheim
Bisogna aspettare il 1895, quando D. pubblica in Francia Le regole del metodo sociologico, perché le idee e le suggestioni della teoria positivista di Comte e di quella evoluzionista di Spencer si traducano in un prgramma di ricerca forte di una solida base teorica e di un'eccepibile strumentazione empirica. Qui D. non smbra mostrare esitazioni e dubbi nel mettere a punto il proprio apparato concettuale e predisporre gli strumenti del mestiere (quale dev'essere il metodo).
1. la teoria sociologica è una teoria olistica giacché assume il punto di vista della società, la quale «non è una semplice somma di individui».
2. la sociologia deve definire il suo oggetto di studio che deve essere diverso da quello di tutte le altre scienze: «il dominio della sociologia comprende soltanto un gruppo determinato di fenomeni». Riconosciamo un FATTO SOCIALE, in base al potere di coercizione esterna che esercita o che è in grado di esercitare sugli individui; riconosciamo a sua volta questo potere i base all'esistenza di qualche sanzione determinata o alla resistenza che oppone ad ogni iniziativa individuale che tenda a fargli violenza. Si può definirlo anche in base alla sua diffusione aggiungendo che esso esiste indipendentemente dalle forme individuali che esso assume diffondendosi.
3. la sociologia deve definire nella giusta dimensione il rapporto tra l'individuo e la società: «Lungi dall'essere un prodotto della nostra volontà, i fatti sociali la determinano dal di fuori».
4. infine occorre indicare il metodo per lo studio dei fatti sociali:
-ricercare la causa che lo produce e la funzione che esso assolve.
-determinare se esiste una corrispondenza tra il fatto e i bisogni generali dell'organismo sociale e in che cosa consiste.
NB: La causa determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali antecedenti, e non già tra gli stati della coscienza individuali. L'obiettivo è individuare con chiarezza il punto di osservazione. E' un pò come salire in aereo e guardare dall'alto una città. La metafora è utile per esemplificare il rapporto tra l'individuo e la società: la città esiste indipendentemente dall'esistenza dei suoi singoli abitanti e rappresenta un contenitore la cui struttura condiziona e determina le azioni. Infatti: la città come organismo sociale rappresenta qualcosa di più e di diverso che la somma dei suoi abitanti Ovviamente D. non nega il fatto che la società sia un prodotto umano. Semplicemente e senza esitazioni egli esclude tale prospettiva dal campo di analisi della sociologia. La sociologia si deve occupare dei fatti sociali, che non sono altro che cose, e che esistono al di fuori di noi e indipendentemente da noi.
Cose, cioè: istituzioni, modelli di comportamento, credenze, azioni collettive, costrutti mentali... tutto ciò che costituisce la realtà sociale, che prescindono dall'intenzionalità dei singoli perchè derivano esclusivamente dalla struttura che tali cose costruiscono insieme. Cose che determinano e condizionano le azioni.
Es: il suicidio, per la sociologia, è un fatto sociale, su cui abilmente D. mette a punto la teoria dell'anomia, in grado di legittimare le relazioni di causalità.
Paradigma della struttura: occorre individuare il nesso causa-effetto.

E' come se la realtà sociale fosse costituita dalla sovrapposizione di più trame. Ciascuno dei grandi sociologi è stato capace di rivelare un disegno compiuto e coerente, altrimenti confuso e invisibile allo sguardo. E' dunque all'insieme delle loro opere che dobbiamo guardare.

Georg Simmel, in Problemi di filosofia della storia, scrive: «Comprendere una frase pronunciata da qualcuno significa che i processi psichici di colui che parla vengono suscitati anche in chi ascolta proprio in quelle parole in cui sono confluiti». Queste parole contengono i presupposti di quell'insieme di concetti e teorie che costituiranno il Paradigma dell'azione.
Paradigma dell'azione e Paradigma della struttura hanno rappresentato fino ad oggi le due anime contrapposte ed insieme complici della sociologia.
S., 'il più contemporaneo dei classici', è una figura affascinante nella storia della sociologia. Egli ha sedotto il pubblico con la sua eclettica e raffinata intelligenza; con rigore definisce il compito della sociologia e con altrettanta spregiudicatezza ne esplora i territori; sembra guardare ad aspetti secondari e perfino banali della realtà sociale ma in realtà sta parlando, con linguaggio sociologico, del mondo intero.
1. Con Simmel e Weber i riflettori si spostano dalla struttura per illuminare invece le azioni congiunte degli individui di cui la struttura sociale è il risultato: l'interazione sociale, e cioè l'insieme delle relzioni reciproche. La sociologia, sostiene S., non deve, né vuole, sottrarre terreno alle altre scienze: la sociologia è un nuovo metodo, uno strumento ausiliario.
2. L'oggetto diventa per S. una lente di osservazione particolare, un nuovo livello di astrazione in grado di collegare i fenomeni sociali ed illuminarli di una luce inedita facendo distinzione tra forma e contenuto: gli oggetti di studio non sono i contenuti ma i suoi modi d'essere, le forme, attraverso cui gli individui raggiungono insieme un'unità sulla base del riconoscimento reciproco. Separare ciò che oggettivamente è sempre unito consente lo studio delle forme dell'associazione come campo di ricerche scientificamente indipendente.
3. Rapporto individuo e società: la società esiste là dove più individui entrano in azione reciproca. *
4. Il metodo proposto e praticato da S. che procede dal particolare al generale, considera dunque le forme oggetti autonomi di conoscenza, disegnando in tal modo una sorta di geometria sociale. (forme di associazione diverse possono produrre uno stesso contenuto come anche uno stesso contenuto può rivestire forme diverse).
* Società: unità oggettiva e insieme di individui.
S # D --> Simmel guarda alla realtà sociale con una prospettiva che rivela la tensione tra individualità e socialità. L'individuo ha coscienza di sé, del mondo e di sé nel mondo solo nella relazione con gli altri individui. Tali rapporti di interazione costituiscono la realtà sociale, si cristallizzano in strutture sovraindividuali dando così vita a gruppi, istituzioni...
Domanda cruciale: "Com'è possibile la società?" (e quali prmesse?)
3 forme conoscitive che l'uomo deve possedere per vivere in società --> 3 specifiche categorie che vanno intese come il risultato e la premessa dell'interazione sociale:
-Primo a priori del RUOLO. Definisce il processo di generalizzazione sociale e si basa sul principio della tipizzazione dell'altro -> la conoscenza che ciascuno di noi ha dell'altro è sempre e comunque una conoscenza incompleta. L'individuo pur riconoscendo sé stesso come membro della società, è consapevole che tale appartenenza non esaurisce completamente la sua essenza. E' proprio questa sua estraneità a consentirgli di far parte della società senza annullarsi in essa. Infatti le società "sono formazioni derivanti da esseri che stanno nello stesso tempo dentro e fuori di esse".
-Secondo a priori dell'INDIVIDUALITA'. Essere per sé ed essere sociale formano un insieme, l'individuo nella sua totalità, che non può prescindere, per la sua stessa esistenza, da queste due appartenenze. Si crea piuttosto una situazione di contmporaneità, una sorta di campo di tensione che determina le azioni di ciascuno.
-Terzo a priori della STRUTTURA. Il primo e il secondo a priori non sarebbero sufficienti a rispondere alla domanda se l'individuo non fosse in grado di muoversi all'interno di una struttura, la società appunto, idealmente perfetta, un'insieme di posizioni che producono una connessione ideale. All'interno si inserisce l'individuo con tutte le sue peculiarità.

Max Weber: «La sociologia deve designare una scienza la quale si propone di intendere in virtù di un procediento interpretativo l'agire sociale e di spiegarlo causalmente nel suo corso e nei suoi effetti. Per "agire" si deve intendere un atteggiamento umano se e in quanto l'individuo che agisce o gli individui che agiscono congiungono ad esso un senso soggettivo. Per agire "sociale" si deve però intendere un agire che sia riferito - secondo il suo senso intenzionato dall'agente o dagli agenti - all'atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo».
La soggettività prende il posto dell'oggettività. Weber intende analizzare la società come risultato delle azioni congiunte degli individui, che devono sempre essere attribuite a realtà concrete.
Individualismo metodologico: sta ad indicare tutte quelle teorie che, a differenza di quelle olistiche, assumono il punto di vista dell'attore.
Sociologia interpretativa: considera l'individuo e la sua azione come unità d'analisi.
W. considera ciò che D. aveva definito fatti sociali come l'insieme delle azioni degli attori che vi partecipano, cioè il risultato dell'interazione tra gli individui e dunque dagli stessi individui modificabile -> il metodo delle scienze naturali risulta inadeguato per cogliere il significato di tali azioni. L'osservatore è comunque uno scienziato che deve giungere alla spiegazione del fenomeno sociale attraverso proposizioni scientifiche verificate empiricamente, attraverso cioè, un metodo rigoroso che procede comunque per astrazioni e generalizzazioni (v. metafora della città).
Partire dal micro per arrivare al macro, dall'azione alla struttura.
Parola chiave: Principio di avalutatività delle scienze sociali. Weber non respinge il metodo dell'imputazione causale ma sostituisce il termine di probabilità (o possibilità) a quello di causalità, il termine parzialità a quello di globalità. In tal modo la sociologia abbandona ogni certezza deterministica, accetta il fatto che ogni fenomeno sociale è l'effetto di una tale molteplicità di concatenamenti causali da rendere prudente qualsiasi previsione. Non perchè il comportamento degli uomini sia imprevedibile: solo la follia, sostiene, rende davvero imprevedibile il comportamento umano. Però non sempre le persone sono consapevoli delle vere ragioni che determinano i loro comportamenti, inoltre le azioni degli individui hanno spesso degli effetti non intenzionali -> sono proprio questi effetti ad essere l'oggetto di studio della sociologia.
Ma com'è possibile per lo scienziato sociale non farsi fuorviare dai propri giudizi di valore? Lo scienziato sociale deve ricostruire e comprendere le modalità attraverso cui quei valori, i suoi valori, si sono costruiti.
Eredità di Weber, indicazioni teoriche e metodologiche: la prospettiva d'analisi parte dal senso soggettivo che gli individui attribuiscono alle proprie azioni, l'idea che la struttura sociale debba essere considerata l'effetto dell'interazione sociale, il fatto che l'azione di un singolo individuo diventi l'unità di misura per analizzare i fenomeni sociali. Indicazioni a cui oggi ricorrono sia l'interazionismo simbolico che l'etnometodologia, nonché tutti coloro usano metodologie di tipo qualitativo.
Ma lo strumento teorico e metodologico cruciale, il cuore della sua dottrina, è "il tipo ideale":
-è un modello che rappresenta, nelle sue caratteristiche essenziali, quel fenomeno sociale che si vuole studiare.
-è costruito sulla base di un'analisi comparata delle varie espressioni che di quel fenomeno sociale possono essere rintracciate nella realtà (questo procedimento comparativo è possibile perchè il sociologo è in grado di ricostruire il senso attribuibile ai comportamenti osservati).
-tale analisi serve ad evidenziare quei caratteri essenziali per definire e rappresentare quel dato fenomeno sociale.
-lo studioso deve individuare ed isolare gli elmenti indispensabili, in mancanza dei quali l'oggetto di studio perderebbe la sua natura e il suo carattere peculiare confondendosi con altri fenomeni sociali.
Nb: Il tipo ideale non corrisponde mai a qualcosa che esiste davvero. E' coerente perchè gli elementi di incoerenza sono scartati, quindi può essere utilizzato come modello ideale per orientarsi nella realtà sociale, stando però sempre attenti a non confonderlo con la realtà vera e propria.
W # M --> Marx riteneva che i caratteri della società e le modalità del suo sviluppo futuro fossero esclusivamente determinati dai rapporti di produzione. W. rifiuta tale prospettiva non certo perchè escluda una relazione causa-effetto tra sistema produttivo e sistema di credenze ma perchè sostiene e dimostra che tale relazione di causalità può anche essere invertita nei suoi termini. Fedele alla sua sociologia, che è comprensione dell'azione umana, fedele alla sua idea di causalità sociologica, egli avanza l'ipotesi che la riforma protestante rappresentò un elemento (non certo il solo) che favorì la nascita del capitalismo. Metodo con cui procede nel dimostrare la sua tesi: mettendo a confronto due modelli ideal tipici, capitalismo ed etica protestante.

Norbert Elias:
Elias non si pone nella scia dei classici, piuttosto condivide con loro l'ambizione di formulare una propria teoria della società e un proprio metodo di analisi. In tal modo si colloca a pieno diritto come ultimo rappresentante della grande tradizione sociologica europea.
Parole chiave: Figurazione e processo. Compito della sociologia è analizzare la società. Per raggiungere tale obiettivo occorre assumere una prospettiva processuale della realtà sociale.
Prospettiva processuale: tutto ciò che ci circonda non è altro che il risultato di un processo che ha coinvolto le strutture psichiche e quelle sociali. L'ordine e la direzione di questo processo sono il risultato dell'interazione sociale i cui effetti si manifestano sia nella struttura sociale che nella struttura dell'habitus psichico.
Il processo di civilizzazione: consiste in un progressivo aumento della divisione delle funzioni e dell'interdipendenza tra gli uomini, che a come conseguenza il determinarsi di un'organizzazione adeguata ad una società sempre più complessa.
Processo evolutivo caratterizzato da una doppia dinamica di accentramento-decentramento: da una parte il progressivo accentramento monopolistico del potere, dall'altra il decentramento, nelle coscienze indviduali, dei meccanismi di controllo del comportamento. Lo stato detiene dunque il monopolio della violenza e la vita pulsionale e affettiva dei singoli diventa uniforme e stabile attraverso un costante autocontrollo. Individuo e società sono inseparabili fra loro: sono entrambi coinvolti in un mutamento strutturale -> "la civilizzazione non è ancora compiuta: è in divenire".
Figurazione (o configurazione): Sta ad indicare le reti di interdipendenza formate dagli individui ed esprime il carattere processuale e interdipendente delle forme sociali. L'uomo è un processo. Individuo vuol dire uomo al singolare e società uomo al plurale.
Nelle società civilizzate gli apparati di controllo del comportamento hanno perso in gran parte visibilità perchè sono stati introiettati dall'individuo stesso e usati inconsapevolmente come filtro agli impusi.
Concetto di configurazione, la metafora della danza: i ballerini muovendosi insieme creano figure, queste figure si modificano, senza mai fermarsi, generando altre figure e altre ancora -> "le danze sono configurazioni concettuali considerate in astratto, in base ad osservazioni di singoli individui considerati a sé". Analogamente occorre tradurre qualsivoglia concetto sociologico a un concetto di relazione (vale anche per il potere). La sociologia di Elias, che egli stesso definisce sociologia figurazionale ed evolutiva, ha evidenti analogie o fili di collegamento con quella di S, W, D, e M.

Parte Prima

Émile Durkheim

La sociologia del fatto sociale
(da "Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia. - Titolo originale: Les règles de la méthode sociologique. Sociologie et Philosophie, 1924)

1. Che cos'è un fatto sociale: l'oggetto della sociologia
Riconosciamo un fatto sociale in base al potere di coercizione esterna che esercita o che è in grado di esercitare sugli individui (...)
Tuttavia lo si può definire anche mediante la diffusione che presenta all'interno del gruppo - diffusività, anche se esso esiste indipendentemente dalle forme individuali che assume diffondendosi - generalità -> infatti è più facile riconoscere la costrizione quando si manifesta attraverso qualche reazione diretta alla società (diritto morale, credenze, usi, mode) -> come? imponendosi -> oggettività. Vi sono inoltre modi di essere collettivi, cioè fatti sociali di ordine anatomico e morfologico (numero e natura delle parti elementari, delle vie di comunicazione, distribuzione della popolazione, ..) che tuttavia si impongono allo stesso modo all'individuo -> sono modi di fare consolidati. C'è così tutta una gamma di sfumature che, senza soluzione di continuità, collega i fatti strutturali più caratteristici alle libere correnti della vita sociale che non sono ancora imprigionate in nessuno stampo definito -> essi si differiscono sotanto per il grado di consolidamento (grado di cristallizzazione)
Definizione: Un fatto sociale è un modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull'individuo una costrizione esterna - oppure un modo di fare che è generale nell'estensione di una società data, pur avendo esistenza propria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali. (...)
2. L'osservazione dei fatti sociali
Bisogna considerare i fatti sociali come cose -> è una cosa tutto ciò che è dato, tutto ciò che si offre o che si impone all'osservazione. E' necessario quindi considerare i fenomeni sociali in se stessi, indipendentemente dai soggetti che se li rappresentano; è necessario studiarli dal di fuori. Questa esteriorità è però solo apparente in quanto l'esterno tende a interiorizzarsi -> regola: anche se i fenomeni sociali non avessero tutti i caratteri intrinseci della cosa, bisogna cominciare considerandoli come se li avessero. Procedendo in questo modo si avrà spesso la soddisfazione di vedere i fatti in apparenza più arbitrari presentare caratteri di costanza e regolarità che sono i sintomi della loro oggettività. Carattere distintivo di una cosa è che essa non può venir modificata con un semplice decreto della volontà. Per produrre in essa un mutamento occorre uno sforzo ben maggiore.
I fatti sociali determinano le nostre azioni, sono in un certo senso gli stampiin cui siamo costretti a versarelenostre azioni.
Oggetto della sociologia: (...) Perciò, quando il sociologo si accinge ad esplorare un qualsiasi ordine di fatti sociali, egli deve sforzarsi di considerarli dal lato in cui si presentano isolati dalle loro manifestazioni individuali.
3. La spiegazione dei fatti sociali
Non si può spiegare un fatto sociale solo in relazione alle funzioni che esso assolve (come hanno fatto Comte e Spencer). Mostrare a cosa un fatto sia utile non vuol dire néspiegare come esso sia nato, né come esso sia ciò che è. Il bisogno che abbiamo delle cose non può trarle dal nulla e porle in essere: esse devono la loro esistenza a cause di altro genere.
Per spiegare un fatto sociale bisogna trovare la causa di cui tale fatto è l'effetto. Per produrre o modificare un effetto bisogna far agire le cause, le sole suscettibili di generarlo.
Non si può spiegare un fatto sociale attraverso la funzione che esso assolve anche perchè tale funzione cambia nel tempo. E' vera del resto, in sociologia come in biologia, la proposizione che l'organo è indipendente dalla funzione e che perciò, pur restando il medesimo, può servire a scopi differenti. La causa di un fatto sociale è quindi indipendente dalle funzioni che esso assolve.
Anche la tendenza, i bisogni, i desideri degli uomini sono cose, ed intervengono nell'evoluzione sociale affrettandone o frenandone lo sviluppo, ma sempre in virtù di cause efficienti. Per determinare mutamenti è necessaria l'azione di cause che li implichino fisicamente. Ad es: i costanti progressi della divisione del lavoro sociale sono necessari perchè l'uomo possa persistere nelle nuove condizioni di esistenza in cui si trova situato man mano che procede nella storia -> abbiamo qui dunque attribuito alla tendenza istinto di conservazione un ruolo importante. Se esso si è orientato è perchè la sopravvivenza degli individui che continuavano a consacrarsi a compiti generali divenne sempre più difficile. L'uomo è stato quindi costretto a mutare direzione e ciò è avvenuto perchè questa era la direzione di minor resistenza: altre soluzioni possibili erano l'emigrazione, il suicidio, il reato..
I bisogni umani possono influire sull'evoluzione sociale, a patto di evolvere essi stessi. Dato un certo ambiente, ogni individuo, secondo il proprio umore, si adatta ad esso nel modo che preferisce. L'uno cercherà di mutarlo per metterlo in armonia con i suoi bisogni; l'altro preferirà mutare se stesso e moderare i suoi desideri. Senza dubbio gli avvenimenti esterni variano da un popolo all'altro, ma è sorprendente come essi si riproducano con straordinaria regolarità nelle stesse circostanze -> gli usi più bizzarri come la couvade, il levirato, l'esogamia.., si osservano presso i popoli più diversi e sono sintomi di un certo stato sociale -> generalità delle forme collettive.
Per spiegare un fatto sociale bisogna ricercare separatamente la causa efficiente che lo produce e la funzione che esso assolve -> Dobbiamo determinare se sussiste una corrispondenza tra fatto sociale e bisogni generali dell'organismo sociale, e in cosa consiste, senza preoccuparsi di sapere se essa sia stata intenzionale o meno. Se un fatto sociale si riconosce dal suo potere di coercizione sulle coscienze individuali ne consegue che non deriva da esse. L'autocostrizione, l'inibizione, è solo il mezzo attraverso cui agisce la costrizione sociale, ma non è questa costrizione. Scartato l'individuo, non resta che la società -> dobbiamo cercare la spiegazione della vita sociale nella natura della società stessa. Si ritiene infatti che essa sia in grado di imporgli i modi di agire e di pensare. Questa pressione, che è il segno distintivo dei fatti sociali, è quella che tutti esercitano su ognuno. Quindi, è nella società che bisogna cercare la causa dei fatti sociali.
La società non è una semplice somma di individui: al contrario, il sistema formato dalla loro associazione rappresenta una realtà specifica dotata di caratteri propri. Occorre però che queste coscienze siano associate e combinate in una certa maniera; da questa combinazione risulta la vita sociale e di conseguenza è questa combinazione che la spiega. Aggregandosi, penetrandosi, fondendosi, le anime individuali danno vita ad un essere (psichico, se vogliamo) che però costituisce un'individualità psichica di nuovo genere.
Sociologia e psicologia come scienze distinte: il gruppo pensa, sente e agisce in modo del tutto diverso da quello in cui si comporterebbero i suoi membri, se fossero isolati. Se si parte da questi ultimi, non si può quindi comprendere nulla di ciò che accade nel gruppo! Tutto ciò che è vincolante ha la sua fonte al di fuori dell'individuo. D'altra parte gli individui non hanno scelto se entrare o meno nella vita collettiva. E' ciaro che i caratteri generali della natura umana entrano nel lavoro di elaborazione da cui risulta la vita sociale: non sono però essi che la suscitano o che le danno la sua forma specifica. Le rappresentazioni, le emozioni, le tendenze collettive non hanno come cause generatrici certi stati della coscienza individuale, bensì le condizioni in cui si trova il corpo sociale nel suo insieme.
Regola: la causa determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali antecedenti, e non già tra gli stati della coscienza individuale. La funzione di un fatto sociale può essere solamente sociale: deve venir sempre cercata nel rapporto in cui si trova con qualche scopo sociale.
Se la vita collettiva non deriva dalla vita individuale, entrambe sono tuttavia strettamente in rapporto. Una cultura psicologica, più ancora che una cultura biologica, costituisce quindi per il sociologo una propedeutica necessaria; ma essa gli sarà utile soltanto a condizione che egli sappia liberarsene dopo averla ricevuta, e che sappia superarla completandola mediante una cultura specificamente sociologica. Occorre che egli si stabilisca nel cuore stesso dei fatti sociali per osservarli di fronte e senza intermediari, domandando alla scienza dell'individuo soltanto una preparazione generale.

Seconda Parte


Max Weber

La sociologia dell'azione sociale

1. L'agire sociale e l'idealtipo: oggetto e metodo della sociologia
(da Concetti sociologici fondamentali, in Economia e società - Tit. Orig: Wirtschaft und Gesellschaft, 1922)
La sociologia è una scienza che si propone di interpretare, comprendere e spiegare l'agire sociale.
Per agire "sociale" si deve intendere un agire che sia riferito - secondo il suo senso intenzionato dall'agente o dagli agenti - all'atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo».
Fondamenti metodologici
1. un «senso»:
a) di fatto, in un caso storicamente dato
b) intenzionato soggettivamente, di un tipo puro costruito concettualmente
Certamente non si deve intendere qualsiasi senso oggettivamente corretto, né un senso vero stabilito metafisicamente -> in questo risiede la differenza delle scienze empriche dell'agire rispetto a tutte le discipline dogmatiche, che si propongono di indagare il senso corretto o valido.
2. il «confine» tra un agire dotato di senso e un comportamento meramente reattivo è assolutamente fluido. Una parte assai rilevante del comportamento che riveste interesse per la sociologia, in particolare l'agire puramente tradizionale, sta al limite tra l'uno e l'altro.
3. ogni interpretazione tende a conseguire l'«evidenza».
a) Evidente razionalmente è, nell'ambito dell'agire, soprattutto ciò che viene inteso senza residuo e con chiarezza. L'azione razionale è quella che possiede il più ampio grado di evidenza.
b) Evidente alla penetrazione simpatetica è, ciò che viene rivissuto pienamente nella sua immediata connessione di sentimento.
Ad es.: Comprendiamo cosa significa che 2x2=4 o chi trae correttamente una conclusione logica. Parimenti comprendiamo anche cosa voglia significare chi, da «fatti di esperienza» a noi noti, deriva nel suo agire le conseguenze che risultano.
Molto stesso non siamo in grado di intendere con piena evidenza, e tuttavia possiamo in determinate circostanze cogliere intellettalmente, parecchi «scopi» e «valori» ultimi in vista dei quali può essere orientato, in conformità dell'esperienza, l'agire di un uomo; ma d'altra parte, quanto più radicale è la loro distanza dai nostri valori ultimi, tanto più difficile ci risulta comprenderli rivivendoli mediante l'opera di penetrazione simpatetica della fantasia. A seconda dei casi dobbiamo allora accontentarci di interpretarli soltanto intellettualmente, o in determinate circostanze - quando anche ciò non riesca - dobbiamo addirrittura assumerli come dati di fatto, per poter comprendere il corso dell'agire da essi motivato in base ai loro punti di orientamento, interpretati per quanto è possibile intellettualmente oppure vissuti per quanto è possibile approssimativamente in virtù di una penetrazione simpatetica.
La costituzione di modelli: si stabilisce anzitutto come l'agire si sarebbe svolto se vi fosse stata conoscenza di tutte le circostanze e di tutte le intenzioni dei partecipanti, e se la scelta dei mezzi fosse stata rigorosamente razionale rispetto allo scopo. Soltanto in questa maniera diventa allora possibile l'imputazione causale delle deviazioni rispetto a tale corso agli elementi irrazionali che le hanno determinate. La costruzione di un agire rigorosamente razionale rispetto allo scopo serve dunque alla sociologia come un tipo («tipo ideale») per intendere l'agire reale, influenzato da elementi irrazionali di ogni specie, quale deviazione del corso che avrebbe luogo nel caso di un ragionamento puramente razionale. In quanto tale, solamente per questo motivo di opportunità metodologica, il metodo della sociologia «comprendente» risulta «razionalistico», procedimento inteso unicamente come uno strumento metodico -> L'agire razionale è solo un modello teorico.
4. «attribuzione di senso»: qualsiasi processo o oggetto può venir interpretato e compreso in base al senso che l'agire umano attribuisce al suo esistere.
5. l'«intendere» può designare:
a) l'intendere attuale del senso intenzionato di un'azione -> cosa sto facendo (comprensione attuale razionale di azioni o pensieri, comprensione attuale irrazionale di affetti..)
b) l'intendere esplicativo -> intendiamo in base ad una motivazione quale senso abbia l'aver agito proprio adesso, rientrando così in una connessione di senso che ci è intelligibile, la cui comprensione viene da noi considerata come una spiegazione del corso di fatto dell'agire. Spiegare vuol dire cogliere le connessioni di senso in cui viene ad inserirsi, secondo il suo senso soggettivamente intenzionato, un agire attualmente intelligibile.
6. l'«intendere» designa in tutti questi casi una comprensione interpretativa del senso o della connessione di senso secondo una prospettiva:
a) storica
b) sociologica
c) ideal-tipica
Ogni interpretazione tende a conseguire l'evidenza. Un'interpretazione fornita di senso, per quanto evidente, non è mai causalmente valida, ma rimane di per sé soltanto un'ipotesi causale particolarmente evidente.
- a volte l'attore non è consapevole del senso della sua azione
- comportamenti simili possono nascondere motivazioni differenti
- quando le motivazioni sono antitetiche solo il corso effettivo degli eventi può far luce sul nesso reale di ciascuna motivazione --> inevitabile risulta dunque il controllo dell'interpretazione intellegibile di senso in base alla decisione che si viene a determinare nel corso effettivo degli avvenimenti
7. Per «motivo» si intende una connessione di senso che appare come fondamento dotato di senso di un atteggiamento.
- atteggiamento adeguato in base al senso, che si sviluppa correttamente quale connessione di senso tipica, corretta.
- atteggiamento adeguato in termini di probabilità, nel grado in cui sussiste una possibilità che essa si svolga sempre in modo simile (secondo una spiegazione causale per cui ad un certo processo faccia seguito un altro processo secodo una regola di probabilità in qualche modo determinabile - e nel caso ideale, che si verifica raramente, formulabile in termini quantitativi).
8. I processi non suscettibili di compresione non sono per questo meno importanti. Essi rientrano soltanto in un ambito diverso da quello dell'agire intelligibile.
9. Sociologia # biologia: Per la sociologia l'unità di misura è l'individuo. La biologia può scomporre l'individuo in cellule e trovare regole causali. Non la sociologia. Per la sociologia, al pari che per la storia, l'oggetto di comprensione è proprio costituito dalla connessione di senso dell'agire sociale,
Per differenti scopi conoscitivi sarebbe possibile considerare le formazioni sociali come individui particolari, come soggetti di diritti e doveri..
Per l'interpretazione intelligibile dell'agire, a cui la sociologia aspira, queste formazioni sono invece semplicemente processi e connessioni dell'agire specifico di singoli uomini -> la sociologia va al di là della semplice determinazione di connessioni funzionali e di leggi perchè, a differenza di qualsiasi altra scienza naturale, è in grado di comprendere il suo oggetto di studio. Questo vantaggio della spiegazione interpretativa rispetto alla spiegazione fondata sull'osservazione è compensato dal carattere essenzialmente ipotetico conseguibile mediante l'interpretazione. Ciononostante essa costituisce appunto l'elemento specifico della conoscenza sociologica.
10. Le «leggi» rappresentano possibilità tipiche -> l'imputazione di causalità indica probabilità e non certezza. La sociologia comprendente formula leggi solo in termini di possibilità e/o probabilità sulla base di comportamenti ipotetici rigorosamente razionali (come pure l'economia politica).
Sociologia # psicologica: Nel caso di una spiegazione sociologica degli elementi irrazionali dell'agire, la psicologia comprendente può senza dubbio rendere servizi di decisiva importanza, restando tuttavia invariata la questione metodologica fondamentale.
11. Sociologia # storia: La sociologia elabora concetti di tipi e cerca regole generali del divenire, in antitesi alla storia la quale mira all'analisi causale e all'imputazione di azioni di formazioni, di personalità individuali che rivstonoun'importanza culturale. La sociologia formula tipi «puri» (cioè tipi ideali), costruiti in base al senso (e all'occasione anche tipi di media, cioè tipi di carattere empirico-statistico), che rendono possibile una casistica sociale, ma non esistono nella realtà -> Sono costruzioni tipico-ideali che cercano senza eccezione di stabilire come si sarebbe svolta l'azione nel caso di una razionalità rispetto allo scopo di carattere ideale, e questo in vista dei seguenti fini:
- per poter intendere l'agire reale, condizionato da ostacoli i vario genere, nella misura in cui esso è stato effettivamente condeterminato.
- per rendere più facile la conoscenza dei suoi motivi reali, in base alla distanza del suo corso reale dal corso tipico-ideale. L'agire reale si svolge nella gran massa dei suoi casi, in una oscura semicoscienza o nell'incoscienza del suo «senso intenzionato». L'individuo che agisce, lo fa il più delle volte, istintivamente o in conformità all'abitudine. Ma ciò non toglie che la sociologia elabori i suoi concetti mediante una classificazione del possibile «senso intenzionato» come se l'agire di fatto procedesse in modo consapevolmente orientato in base ad un senso. Essa deve in ogni caso mettere in conto, e stabilire, nella sua misura e nella sua specie, la distanza rispetto alla realtà, quando si tratti di venire a considerare questa nella sua concretezza.
Il concetto di agire sociale
Che cos'è un agire sociale?
Un atteggiamento orientato all'atteggiamento di altri individui (singoli e noti, oppure una molteplicità indeterminata di persone ignote)

Fondamenti determinanti dell'agire sociale
Quattro tipi ideali di azione:
1. agire tradizionale
2. agire affettivo
3. agire razionale rispetto al valore
4. agire razionale rispetto allo scopo
-> sono tipi concettualmente puri, creati per scopi sociologici.
La relazione sociale
Che cos'è una relazione sociale? Un comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso, e orientato in conformità.
Caratteristiche:
a) reciprocità: si richiede un minimo di relazione reciproca dell'agire di entrambe le parti;
b) intenzionalità degli attoricontenuto di senso intenzionato dai partecipanti;
c) il contenuto di senso può essere diverso tra i vari attori coinvolti nella relazione -> relazione unilaterale -> ci sarà comunque sempre, anche se minimo, un riferimento reciproco. Se invece il contenuto di senso corrisponde -> relazione bilaterale -> caso limite. Siamo in assenza di relazione sociale soltanto in consegunza dell'effettiva mancanza di un riferimento reciproco.
d) transitoria o durevole;
e) mutevole: il contenuto di senso può cambiare.

2. Qual'è il compito della sociologia
(da Il metodo delle scienze storico-sociali – Tit. orig: Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, 1924)
La sociologia non deve produrre giudizi di valore, né indicare all'attore strategie d'azione, ma questo non vuol dire che i giudizi di valore non debbano essere oggetto dell'analisi scientifica.
Ogni riflessione concettuale sugli elementi ultimi di un agire umano fornito di senso è vincolata anzitutto alle categorie di «scopo» e «mezzo» (volere qualcosa in relazione al suo proprio valore oppure come mezzo per raggiungere lo scopo).
Questione dell'appropriatezza dei mezzi in vista di un dato scopo. Stabilire inoltre le conseguenze dell'azione, cioè le conseguenze che avrebbe l'impiego dei mezzi richiesti insieme all'eventuale conseguimento dello scopo prefisso.
Quanto costa il conseguimento dello scopo voluto, rispetto ad altri valori? L'auto-riflessione di uomini che agiscono in modo responsabile non può prescindere dalla reciproca commisurazione dello scopo e delle conseguenze dell'agire. Essi misurano e scelgono secondo la propria coscenza e secondo la loro personale concezione del mondo.
Compito della scienza: condurre l'uomo alla coscienza che ogni agire comporta una presa di posizione in favore di determinati valori e quindi contro altri. Compiere tale scelta però è cosa sua.
Ciò che noi possiamo offrirgli è la conoscenza del significato di ciò che vuole. La trattazione scientifica dei giudizi di valore vuole non soltanto farci comprendere e rivivere gli scopi che ci prefiggiamo e gli ideali che stanno alla loro base, ma soprattutto insegnarci anche a «valutarli» criticamente.
I valori -> una scienza empirica non può mai insegnare a nessuno ciò che egli deve, ma può insegnargli ciò che egli può e ciò che egli vuole -> giudicare la validità dei valori non è compito della sociologia. I valori sono prodotti culturali storicamente determinati, mutevoli e contestati; sono prodotti della cultura nello stesso modo in cui lo sono la sensibilità e la coscienza.
Occorre distinguere tra conoscere e valutare, cioè tra l'dempimento del dovere scientifico di vedere la realtà dei fatti e l'adempimento del dovere pratico di sostenere i propri ideali -> come scienziato devo saper vedere la realtà dei fatti (capacità di ordinare concettualmente la realtà empirica), come uomo devo avere degli ideali. Un'indagine scientifica è tale se è valida indipendentemente dai valori che l'hanno promossa o dai valori che hanno determinato il fenomeno (e dev'essere valida per tutti!)
La scienza sociale è una scienza di realtà. Noi vogliamo comprendere la reltà nella sua specificità; vogliamo cioè comprendere da un lato la connessione e il significato culturale dei suoi fenomeni nella loro configurazione presente, dall'altro i motivi del suo essere storicamente divenuto, e non altrimenti.
Ogni conoscenza concettuale della realtà infinita da parte dello spirito umano finito poggia infatti sul presupposto tacito che soltanto una parte finita di essa debba formare l'oggetto della considerazione scientifica, e perciò risultare «essenziale» nel senso di essere «degna di essere conosciuta». Ma in conformità a quali principi? (...)
E' priva di senso una trattazione «oggettiva» dei processi culturali, per la quale debba valere come scopo ideale del lavoro scientifico la riduzione del dato empirico a «leggi» -> L'individuo si muove sulla base di orientamenti culturali e non i virtù di leggi universalmente valide.
La «cultura» è una sezione finita dell'infinità priva di senso dell'accadere del mondo, alla quale viene attribuito senso e significato dal punto di vista dell'uomo (-> consapevolezza e attribuzione di senso)
Noi siamo esseri culturali, dotati della capacità e della volontà di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli un senso => il significato culturale di un fenomeno è il senso che noi attribuiamo ad esso.
La prostituzione è un fenomeno culturale al pari della religione o del denaro; e tutti e tre lo sono in quanto e solo nella misura in cui la loro esistenza e la forma che storicamente assumono toccano, direttamete o indirettamente i nostri interessi culturali....
Ogni fenomeno sociale ha un significato culturale. Conoscere significa assumere un particolare punto di vista sulla base di quelle connessioni che l'osservatore ritiene significative, scelta che avviene comunque sulle idee di valore del ricercatore -> senza le idee di valore del ricercatore non vi sarebbe alcun principio di selezione del materiale, né vi sarebbe alcuna conoscenza fornita di senso del reale nella sua individualità. -> l'orientamento della sua fede personale indicherà la direzione anche del suo lavoro. La conoscenza è sempre vincolata a presupposti «soggettivi».

3. L'avalutatività delle scienze sociali
(da Il metodo delle scienze storico-sociali – Tit. Orig: Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehre, 1924)
E' possibile che una disciplina empirica indichi direttive per un agire fornito di valore?
Le sole cose che una disciplina empirica può mostrare con i suoi mezzi sono:
1) i mezzi indispensabili
2) le conseguenze concomitanti
3) la concorrenza tra più valutazioni possibili
Limitarsi a guardare la realtà o contribuire sostenendo i propri valori? Importante è evitare confusioni.
In sintesi -> Il senso delle discussioni intorno a valutazioni pratiche può consistere soltanto nelle operazioni:
a) elaborazione degli assiomi di valore ultimi -> operazione puramente logica.
b) deduzione delle conseguenze connesse alla presa di posizione valutativa.
c) determinazione delle conseguenze di fatto che dovrebbe avere la realizzazione pratica di una data presa di posizione valutativa nei confronti di un certo problema. Questa constatazione puramente empirica può aver come risultato tra l'altro:
1) l'assoluta impossibilità di qualsiasi realizzazione del postulato di valore, in quanto non è possibile stabilire alcuna via per realizzarlo;
2) la maggiore o minore improbabilità diuna sua realizzazione compiuta, o anche soltantoapprossimativa, per gli stessi motivi o perchè esiste la possibilità che si abbiano conseguenze concomitanti non volute.
3)necessità di mettere in conto tali mezzi o tali conseguenze concomitanti e non considerate in precedenza.
d) possono presentarsi assiomi di valore nuovi, e di conseguenza nuovi postulati.
I valori dello scienziato sociale indirizzano il suo lavoro, tuttavia questo deve essere «avalutativo»:
-no valutazione ma relazione ai valori;
-no giudizio di valore ma interpretazione del valore.

Terza Parte

Georg Simmel

La sociologia della forma
(da Sociologia - Tit. orig: Soziologie, Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, 1908)

1. Il problema della sociologia: l'oggetto
Quale dev'essere l'oggetto?
Il conoscere umano si è sviluppato partendo da società pratiche, da lungo tempo però esso non è più legato a questa origine, e da semplice mezzo per gli scopi per l'agire è diventato esso stesso uno scopo definitivo. Dal momento che le classi attiravano su di sé la coscienza teorica, il pensiero si accorse a un tratto che ogni fenomeno individuale è determinato in genere da un'infinità di influenze provenienti dalla sua cerchia ambientale umana. Una volta raggiunta la coscienza che ogni agire umano si svolge nell'ambito della società e che nessun agire può sottrarsi alla sua influenza, tutto ciò che non era scienza della natura esterna doveva essere scienza della società. A questa concezione della sociologia come scienza del tutto ciò che è umano in generale contribuì il fatto che essa era una scienza nuova e che di conseguenza verso di essa si affollavano tutti i possibili problemi che non trovavano altrove una sede precisa -> ma in tal modo si sarebbe trovato solo un nuovo nome da attribuire a un calderone che però già esisteva nell'ambito dei setori di ricerca precedenti -> la sociologia non può essere una scienza onnicomprensiva! Alla base di questo errore sta l'intuizione che se l'uomo è determinato dal fatto di vivere in azione reciproca con altri uomini, allora deve esserci una nuova forma di consifderazione anche in tutte le cosiddette scienze dello spirito.
Quali allora le specificità della sociologia rispetto alle altre scienze umane? La possibilità di comprendere i fenomeni storici in base all'agire reciproco e all'agire in comune degli individui, in base alla somma e alla sublimazione di innumerevoli contributi individuali. La sociologia, nella sua elazione con le scienze esistenti, è quindi un nuovo metodo, uno strumento ausiliario della ricerca, per avvicinarsi ai fenomeni di tutti quei campi in modo nuovo.
La sociologia in questo modo non contiene alcun oggetto che non venisse già trattato in una delle scienze esistenti, ma essa rappresenta solo un nuovo approccio ai fenomeni sociali, un metodo scientifico.
Occorre quindi definirne l'oggetto. Ma quale può essere l'oggetto proprio e nuovo, la cui indagine fa della sociologia una scienza autonoma e dai confini determinati? Intendiamo per oggtto un complesso di determinazioni e di relazioni di cui ciascuna, proiettata su una pluralità di oggetti, può divenire oggetto di una scienza particolare. Ogni scienza poggia su un'astrazione. Di fronte alla totalità della cosa e delle cose ogni scienza si sviluppa attraverso a loro scomposizione in qualità e funzioni particolari, dopo che si è trovato un concetto che permette di individuare quest'ultime e di cogliere nel suo ricorrere nelle cose reali secondo connessioni metodiche.
Occorre trovare un nuovo livello di astrazione che colleghi i fenomeni sociali. Occorre perciò che il concetto di società sottoponga i dati storico-sociali a un nuovo processo di astrazione e di coordinamento in modo che certe determinazioni degli stessi vengano riconosciute come reciprocamente connesse e quindi come oggetti di un'unicascienza. -> distinguiere la forma dal contenuto.
Definizione della società: la società esiste là dove più individui entrano in azione reciproca. Impusi di vario genere fanno si che l'uomo entri con altri in una consistenza, in una correlazione di situazioni, che eserciti affetti sugli altri e ne subisca dagli altri. Azioni reciproche da cui (dai portatori individuali di quegli impulsi e scopi occasionali) sorge un'unità cioè una «società». Un corpo organico è un'unità perchè i suoi organi stanno tra loro in uno scambio reciproco di energie più stretto che con qualsiasi essere esterno.
Contenuto: un impulso, interesse, scopo, inclinazione, situazion psichica e movimento-> da ciò o in ciò sorge l'azione.
Associazione: si ha quando l'azione sociale produce delle forme di coesistenza, le quali rientrano sotto il concetto generale dell'azione reciproca. L'associazione è dunque la forma realizzantesi in innumerevoli modi diversi, in cui gli individui raggiungono insieme un'unità sulla base di quegli interessi e nell'ambito della quale questi interessi si realizzano.
In ogni fenomeno sociale esistente il contenuto e la forma sociale costituiscono una realtà unitaria -> elementi insepartabili nella realtà di ogni essere e accadere sociale mediante il quale o nella cui forma quel contenuto acquista realtà sociale. Soltanto quando la vitalità di questi contenuti acquista la forma dell'influenza reciproca, la pura e semplice contemporaneità spaziale o anche la successione temporale degli uomini si traduce in una società -> la sociologia deve indagare i modi e le forme prodotte dall'azione reciproca.
Come? Bisogna separare le forme dai contenuti e costituirle come oggetto specifico dell'analisi sociologica. Forma e contenuto vengono separati nell'astrazione scientifica, forme di azione reciproca o di associazione vengono collegate tra loro, concettualmente isolate dai contenuti che soltanto mediante esse diventano sociali, e metodicamente sottoposte a un punto di vista scientifico unitario. Il diritto di sottoporre i fenomeni storico-sociali a un'nalisi secondo forme e contenuti e di ricondurre le prime a una sintesi si fonderà su due condizioni, le quali possono essere verificate soltanto in base ai fatti. Si deve da un lato trovare che la medesima forma di associazione ricorre con un contenuto del tutto diverso, per scopi completamente differenti, e che, al contrario, il medesimo interesse assume come sue portatrici o modi di ralizzazione forme completamente diverse di associazione. In gruppi sociali i più diversi per scopi e per significato, troviamo tuttavia i medesimi modi formali di atteggiamento reciproco. Per quanto molteplici possano essere gli interessi dai quali si perviene a queste associazioni, le forme in cui esse si attuano possono tuttavia essere le medesime. E d'altra parte lo stesso interesse può configurarsi in associazioni di forma molto differente.
-> forme diverse possono presentare gli stessi contenuti così come contenuti diversi possono presentare le stesse forme.
I fatti offrono quella legittimazione del problema sociologico che esige la constatazione, l'ordine sistematico, la motivazione psicologica e lo sviluppo storico delle forme pure di associazione -> questo è il compito della sociologia! Occorre una linea che sciolga il puro fatto dall'associazione e lo costituisca come campo particolare. Essa diventa in tal modo una scienza specifica il cui carattere specialistico consiste nel fatto di accostare un intero campo di oggetti da un punto di vista particolare: non il suo oggetto, ma la sua forma di considerazione , la particolare astrazione da essa compiuta, la differenzia dalle altre scienze storico-sociali.
Il concetto di società copre due significati:
- insieme di individui: oggetto è tutto ciò che accade nella e con la società;
- somma delle forme di associazione: ha per oggetto le forze, le relazioni e le forme mediante le quali gli uomini si associano e che costituiscono nella loro configurazione autonoma, la società in senso stretto.
Se sparissero le forme di associazione, sparirebbe la società.
Società è l'azione reciproca. La sociologia sta alle scienze umane come la geometria sta alle scienze della materia.
Non vi è un'uguaglianza assoluta delle forme, ma solo un'uguaglianza approssimativa che si può stabilire in linea di principio e soltanto come strumento per compiere e legittimare nei singoli feomeni la separazione scientifica di forma e contenuto.
Come operare dunque? Attraverso un procedimento intuitivo sostenuto dagli esempi. Così allora i fenomeni storici potranno essere considerati da tre punti di vista distinti in linea di principio: dell'individuo, della forma e del contenuto -> tale distinzione è solo una necessità metodologica di tenerli distinti, che si scontra ad ogni passo con la difficoltà di ordinare ogni elemento in una serie indipendente e con l'aspirazione aun'immagine complessiva della realtà -> nonostante la chiarezza e precisione metodologica dell'impostazione di principio, a stento si potrà evitarne l'equivocità -> che andrà rassicurata attraverso l'analisi.
2. Le forme sociali: il metodo
Partire dal concetto di relazione reciproca rivela forme di relazione inedite: Appena si pone la questione delle influenze reciproche tra gli individui, la cui somma produce quella coesione nella società, si rivela immediatamente una serie di forme di relazione che finora non venivano comprese affatto nella scienza della società. In complesso la sociologia si è propriamente limitata allo studio dei fenomeni sociali macroscopici, cioè delle forme già cristallizzate e sovraindividuali, tralasciando un numero sterminato di forme di relazione e di modi di azione reciproca tra gli uomini che sono di dimensioni minori e meno appariscenti e che sono quelle che sole danno origine alla società quale noi la conosciamo. La limitazione ai primi fenomeni ricorda la scienza primitiva del corpo umano interno (la società come organismo biologico) che si limitava ai grandi organi e trascurava gli innumerevoli tessuti senza i quali quegli organi più distinti non darebbero mi luogo a un corpo vivente. Ciò che rnde più difficile fissare scientificamente tali forme sociali poco appariscenti, le rende al tempo stesso infinitamente importanti per la comprensione più profonda della società: il fatto cioè che in generale esse non sono ancora consolidate in forme stabili.
L'associazione tra gli uomini si allaccia, si scioglie e si riallaccia continuamente, come un eterno fluire e pulsare che incatena gli individui, anche quando non perviene a organizzazioni vere e proprie. Qui risiedono le azioni reciproche - accessibili soltanto alla microscopia psicologica - tra gli atomi della società -> occorre guardare alle azioni infinitamente numerose e infinitamente piccole.
Al di là di ogni analogia sociologica o metafisica tra le realtà della società e dell'organismo si tratta qui soltanto dell'analogia delmetodo di trattazione e del suo sviluppo. Le particolari azioni reciproche che si offrono in queste misure non del tutto consuete all'analisi teorica devono essere esaminate come fornme costitutive della società, come parti dell'associazione in generale.
Qual'è allora il confine tra la sociologia e la psicologia sociale? Cambia il metodo, il punto di vista, l'oggetto dell'osservazione -> la sociologia tratta le forme dell'associazione trascurandone i contenuti psichici ->pur utilizzando come dati i processi psichici, questi non sono oggetto di studio della sociologia => la scienza della società non può che essere la dottrina dell'associazione.
Anche i confini tra filosofia e sociologia sono certi, tuttavia la prima suggerisce alla seconda le domande e ne fonda i presupposti epistemologici. Quando un soggetto sussiste, quali sono i presupposti della sua coscienza di costituire un essere sociale? Qual'è l'a priori che rende possibile e forma la struttura empirica dell'individuo in quanto essere sociale? Ma la domanda essenziale è:
3. Com'è possibile la società
Quali premesse? Quali presupposti devono agire affinché particolari processi concreti della coscienza individuale siano relmente processi di socializzazione, quali elementi permettono che laloro funzione sia di costruire un'unità sociale? Le apriorità sociologiche determineranno processi reali di associazione; d'altra parte esse costituiscono i presupposti ideali e logici della società perfetta. La coscienza di associarsi e di essere associato è più un sapere che un conoscere. Ma ciò che dev'essere esaminato dal punto di vista delle sue condizioni come il concetto generale di associazione, è qualcosa di conoscitivo: la coscienza di associarsi o di essere associati. Si tratta dei processi dell'azione reciproca, i quali per l'individuo significano il fatto di essere associato.
Quali forme debbano stare alla a base di esse, quali le forme che la coscienza deve sorreggere? -> teoria della conoscenza della società. Tre di queste conoscenze o forme a priori dell'associazione, categorie sotto le quali i soggetti guardano se stessi e si guardano reciprocamente in modo d poter produrre la società empirica (si avvicinano alle categorie kantiane):
1. l'a priori del ruolo: l'altro generalizzato -> noi vediamol'altro generalizzato, perchè non ci è dato di rappresentare pienamente in noi un'individualità divergente dalla nostra. Ogni riproduzione di un'anima è condizionata dalla somiglianza/differenza, vicinaanza/lontananza con essa. Ne consegue una generalizzazione dell'immagine psichica dell'altro. Noi pensiamo l'altro sotto una categoria generale che certamente non lo ricopre del tutto. La relazione è possibile perchè noi non vediamo l'altro nella sua pura individalità, ma come appartenente ad una specifica cerchia sociale.
2. l'a priori dell'individualità: Ogni elemento di un gruppo non è soltanto parte di una società, ma è inoltre ancora qualcosa. C'è una parte dell'individuo non riconducibile al suo essere sociale che interviene e rende possibili le dinamiche di interazione. Ci sono dei tipi sociologici la cui essenza consiste proprio nel fatto di essere, nello stesso tempo, dentro e fuori la società, inclusi ed esclusi, vicini e lontani (lo straniero, il nemico, il criminale, perfino il povero, ma ciò vale anche per qualsiasi fenomeno individuale). Gli individui sociali si muovono sempre tra questi estremi. L'a priori della vita sociale empirica è il fatto che la vita non è del tutto sociale. Il fatto che le società siano formazioni derivanti da esseri che stanno allo stesso tempo dentro e fuori di esse è anche alla base di una delle più importanti formazioni sociologiche: cioè che l'anima individuale non può mai stare in una connessione senza stare contemporaneamente al di fuori di essa.
Rapporto tra l'individuo e la società: il fatto dell'associazione colloca dunque l'individuo in questa duplice posizione, gli è compreso e al tempo stesso si contrappone, è un elemento dell'organismo e al tempo stesso è un tutto organico concluso, è un essere per essa e un essere per sé. Aspetto essenziale: tra individuo e società l'interno e l'esterno non costituiscono due determinazioni sussistenti l'una accanto all'altra ma definiscono la posizione del tutto unitaria dell'uomo che vive socialmente -> contemporaneità delle due determinazioni logicamente contrapposte. Sono due punti di vista che costituiscono insieme l'unità che chiamiamo essere sociale.
3. l'a priori della struttura: La società è una formazione composta da elementi diseguali. Struttura e disuguaglianza sono i due termini che definiscono la società. La società siconfigura come un cosmo, in cui ogni punto può essere costituito e svilupparsi solo in quel determinato modo, se la struttura del tutto non dev'essere mutata. Nessun granello di sabbia potrebbe essere formato e collocato diversamente da com'è, senza che questo abbia come presupposto e come conseguena una modificazione dell'intera esistenza.
Ciò significa che ogni nuovo individuo che entra a far parte della società trova un posto inequivocabilmente determinato -> questo permette di scorgere l'a priori della struttura e che per l'individuo significa un fondamento e la «possibilità» di appartenere a una società.
Valore di universalità inerente l'individualità: Presupposto in base al quale l'individuo vive la sua vita sociale è che ogni individuo sia orientato verso una determinata posizione che idealmente gli appartiene e che sia anche realmente presente nel complesso sociale. La nostra vita conoscitiva poggia sul presupposto di un'armonia prestabilita tra le nostre energie spirituali, sebbene ancora individuali, e l'esistenza esteriore. Parimenti la vita sociale poggia sul presupposto di un'armonia tra l'individuo e il complesso sociale. Finchè l'individuo non trova realizzato questo a priori della sua sistenza sociale, egli non sarà associato e la società non è quell'attività reciproca priva di lacune che il suo concetto enuncia. Esempio: la professione come espressione sociale della propria soggettività. Affinché esista in generale una «professione» deve sussistere quell'armonia tra la costruzione e il processo vitale della società, da un lato, e le qualità e gli impulsi individuali, dall'altro. L'imperativo diventa così di cercare finchè la si trova. (...)

Quarta Parte


Norbert Elias

La sociologia del processo

1. Il processo: l'oggetto della sociologia
(da Che cos'è la sociologia - Titolo originale: Was ist Soziologie?, 1970)
Scienze sociali-scienze naturali: Nella fase classica della loro evoluzione si riteneva che lo scopo delle ricerche fisiche fosse quello di ricondurre tutto ciò che appare mutevole e mobile a qualcosa di immobile ed immutabile, cioè alle leggi eterne della natura ->formulazione di leggi come criterio di scientificità. Conseguenza: molti rappresentanti delle discipline accademiche, non ultimi anche alcuni sociologi, sentono una certa inquietudine e forse si sentono persino in colpa perchè da un lato pretendono di essere degli scienziati, ma dall'altro non sono in condizione di ottemperare all'ideale filosofico di scienza che è stato stabilito.
Ma com'è possibile parlare di cambiamento se non esiste un qualcosa che non cambia e che quindi precede ogni cambiamento?
Ci si deve raffigurare il fiume come qualcosa di statico per poter dire che scorre. L'elemento immutabile con cui abbiamo a che fare è la specifica mutevolezza degli uomini, che deriva dalla trasformazione evolutiva. Questa mutevolezza non è caos, ma piuttosto un ordine di tipo speciale. Comte, Marx, Spencer e molti altri sociologi classici del XIX secolo cercarono di analizzare quest'ordine, vale a dire l'ordine insito nel cambiamento stesso. Nel XX secolo si oscillò nella direzione opposta, tanto che molti dei principali teorici della sociologia, in primo luogo Talcott Parsons, considerano la stabilità e l'immutabilità come le caratteristiche normali di un sistema sociale, mentre i cambiamenti sembrano loro soltanto il risultato di qualche disturbo della normale condizione d equilibrio della società.
La sociologia deve cogliere il carattere processuale dei fenomeni sociali. La forma attuale delle analisi sociologiche fa sì che sia possibile smembrare concettualmente i composti nelle singole componenti, ad esempio in «variabili» o «fattori», senza alcun bisogno di analizzare il modo in cui questi aspetti separati ed isolati di un più ampio contesto siano in rapporto fra loro.
Dalle relazioni agli oggetti messi in relazione -> Il potere come modalità di relazione. Il potere esprime una relazione tra due o più persone, o tra persone e oggetti della natura. Il potere è un attributo delle relazioni e la parola è usata nel modo più adeguato quando indica cambiamenti di potere.
L'individuo e la società:
-Weber non risolse mai dal punto di vista concettuale il problema della relazione tra i due oggetti totalmente isolati e statici a cui sembrano rimandare i concetti del singolo «individuo» e della «società», intesi in questo modo (ciò non pregiudica affatto la grandezza della sua opera). Weber scompose la «società» in un gran numero di azioni più o meno disordinate compiute da individui adulti abbandonati a se stessi, tra di loro separati e del tuttoindipendenti. Tale orientamento lo spinse a concepire come prive di realtà tutte le strutture, i tipi e le regolarità sociali osservabili. Potè giustificare le strutture sociali tipiche solo come prodotti artificiali degli stessi sociologi, come rappresentazioni scientifiche precise e ordinate di qualcosa che in realtà è privo di struttura e di ordine. Weber fu quindi uno dei grandi rappresentanti del nominalismo sociologico (considera la società umana semplicemente come un «flatus vocis»).
-Émile Durkheim fu più incline al modo opposto di pensare. Egli scrisse: «E' indubbiamente una verità evidente che non c'è nulla nella vita sociale che non sia anche nelle coscienze individuali; però, quasi tutto quello che si trova in queste ultime proviene dalla società. (..)».
Come ha recentemente tentato di fare Talcott Parsons, possiamo considerare reale ora l'una ora l'altra oppure entrambe le cose contemporaneamente - da un lato l'«Ego», cioè l'individuo agente, e dall'altro il «sistema sociale». Ma non c'è alcuna via d'uscita da questa trappola concettuale (attore e sistema, persona e tipo ideale, individuo e società, non sono concetti isolati ed immobili!).
L'individuo come processo: l'uomo è un processo -> nasce, cresce, diventa adulto (mentre il tradizionale concetto di individuo esprime un'immagine ideale). Quella tra individuo e società è una dicotomia che non ha ragione di esistere. La solidità e la forza persuasiva dell'idea della «società» come qualcosa di esterno agli individui, e degli «individui» come di qualcosa che esiste al di là della società, derivano da un'immagine dell'uomo come homo clausus, del tutto discutibile. Come scrisse Durkheim: "Se questa esteriorità è soltanto apparente, l'illusione si dissiperà col progredire della scienza e vedremo l'esterno - per così dire - interiorizzarsi".
Per tutta la vita Durkheim lottò invano con questo problema (affinità tra i due ordini di problemi: quelli incentrati sull'esistenza «all'esterno» dei fenomeni sociali in relazione all'individuo e alla sua coscienza «all'interno», e quelli, più vecchi, della teoria della conoscenza, concernenti il rapporto tra l'esistenza di oggetti esterni e il soggetto cognitivo individuale con la sua «coscienza»).
Max Weber affrontò il problema in modo diverso: egli distingue le azioni individuali «sociali» da quelle che non lo sono, e sono perciò solo «individuali», distinzione tuttavia discutibile.
Egli considera non-sociale ogni azione diretta solo ad oggetti inanimati, sebbene sia assolutamente svidente che individui diversi attribuiscano un senso diverso a tali oggetti. Il pensiero di Weber è fortemente influenzato dalla sensazione che da qualche parte ci debba essere un confine fra ciò che merita di essere definito individuale e ciò che merita di essere definito sociale -> individuo considerato staticamente.
Le difficoltà in cui ripetutamente ci imbattiamo quando tentiamo di risolvere in modo convincente il problema del rapporto fra ciò che definiamo individuo e ciò che definiamo società sono in gran parte dovute alla natura di questi due concetti:
1. individuo come uomo al singolare
2. società come uomo al plurale
Come punto di partenza nello studio della sociologia abbiamo esplicitamente bisogno di un'immagine dell'uomo al plurale. Ciascuno è perennemente in relazione con gli altri -> necessità di percepire noi stessi come persone fra le altre, coinvolte in un gioco insieme con le altre. E' tutt'altro che facile associare le due idee, quella in cui vi sia una barriera divisoria e quella in cui tale barriera non esiste. Questa visione richiede un ulteriore sforzo di distacco da sé -> la barriera tra individuo e società risiede solo nella coscienza individuale.
2. L'individuo e la società: il metodo
(da Introduzione, in La civiltà delle buone maniere - Über den Prozeß der Zivilisation, 1969)
L'acquisizione di un più elevato livello di coscienza individuale di sé, si compì durante il Rinascimento -> passaggio alla percezione della natura come paesaggio rispetto a chi l'osserva, come oggetto della conoscenza che è separato come da una parete invisibile dal soggetto della conoscenza, passaggio ad uno stadio ulteriore di autocoscienza.
Domande: cosa propriamente provoca questa idea di un «interno» del singolo che è separato da tutto ciò che esiste al di fuori di sé, cosa sono propriamente nell'uomo il contenitore e il contenuto?
Il muro invisibile che separa l'individuo dalla società non è altro che l'autocontrollo sul comportamento.
Concetti classificatori della sociologia, come «struttura della società», «processi sociali» o «sviluppi della società», possono apparire nel migliore dei casi prodotti artificiali dei sociologi, costruzioni «tipico-ideali» di cui il ricercatore ha bisogno per mettere un pò d'ordine. Al contrario invece sono le convinzioni di indipendenza individuale ad essere prodotti artifivciali, frutto di un processo di persuasione simile a quello che possedeva nel Medioevo l'idea che il sole ruotasse attorno alla terra.. Come già allora l'immagine geocentrica dell'universo fisico, così senza dubbio anche l'immagine egocentrica dell'universo sociale può essere superata.
Domanda: Fino a che punto il sentimento dell'isolamento e dell'alienazione scaturisce da inettitudine e ignoranza nello sviluppo degli autocontrolli individuali e fino a che punto da peculiarità strutturali di società più sviluppate?
L'idea di "individuo e società" deve essere sostituita con quella di configurazione di uomini reciprocamente riferiti e reciprocamente dipendenti -> L'intreccio dei rapporti reciproci tra gli uomini, le loro interdipendenze sono ciò che li lega insieme -> sono il nucleo della configurazione.
E' infruttuoso concepire l'immagine dell'uomo come immagine di un uomo singolo. E' invecepiù appropriato intenderla come immagine di molti uomini interdipendenti, che creano insieme configurazioni, ossia gruppi o società. La società è la rete di interdipendenze formata da individui.
La metafora della danza: Come concepiamo le configurazioni mobili create nella danza da uomini interdipendenti, così possiamo concepire gli Stati, le città, le famiglie, ma anche i sistemi feudali, capitalistici e comunisti. Come mutano piccole configurazioni della danza (si pensi a una mazurka, a un minuetto, a una polacca, a un tango,a un rock'n roll), così mutano le grandi configurazioni che chiamiamo società. (...)
3. Il concetto di figurazione: il metodo
(da Che cos'è la sociologia - Titolo originale: Was ist Soziologie? 1970)
Uomini come individui o uomini come società? Il concetto di configurazione è uno strumento utile che ci consente di superare la dicotomia tra individuo e società.
Il gioco come esempio del concetto di «figurazione»: Con figurazione noi intendiamo il modello mutevole costituito dai giocatori intesi come una totalità, modello che i giocatori formano nella loro reciproca relazione non solo col loro intelletto ma con la loro intera person, con la totalità dei loro modi d'agire. Questa figurazione può configurarsi come un'interdipendenza tra alleati oppure tra avversari, due gruppi, alleati o avversari, che comunque formano un'unica figurazione.
Il concetto di «potere»: Al centro del processo figurazionale troviamo un oscillante equilibrio di tensioni, un equilibrio di potere che si sposta continuamente -> caratteristica di ogni flusso figurazionale.
Il concetto di figurazione è applicabile tanto a gruppi relativamente ristretti (piccoli gruppi) quanto a società formate da migliaia o milioni di persone interdipendenti (grandi gruppi).
Si cerca allora di comprendere le caratteristiche di qeste complesse figurazioni in via diretta, cioè mediante l'analisi delle catene di interdipendenza. Nell'analisi sociologica non ci si può mai accontentare di usare come strumenti d'analisi dei sostantivi disumanizzanti (concezione atomistica). Che si parli di funzione o di struttura, di ruolo o di organizzazione, di economia o di cutura, il significato di questi concetti nasconde spesso la loro riconducibilità a particolari figurazioni. Lo stesso dicasi del significato del concetto di «gioco», quando si perde di vista che il gioco è un aspetto di una specifica figurazione formata da giocatori. E' perciò dubbio che la sociologia possa essere definita come una «scienza comportamentistica». Ciò non esclude che la sociologia possa avvalersi di indagini statistiche. Bisogna però rendersi conto dei presupposti teoretici sulla cui base si intraprende un'indagine statistica, e quindi soprattutto il modo in cui si pone il problema a cui l'inchiesta deve dare soluzioni.
Se il compito della sociologia è quello di indagare i processi figurazionali che assomigliano a giochi complessi, allora dobbiamo cercare di elaborare degli strumenti statistici che siano adatti a questo compito.
Col concetto di figurazione richiamiamo l'attenzione sulle interdipendenze tra gli uomini. Il problema è quello di stabilire che cosa leghi effettivamente gli uomini nelle figurazioni.
Dall'interconnessione dei comportamenti di molti individui sorgono delle strutture d'interconnessione specifiche che non si possono comprendere o spiegare riducendole al comportamento dei loro singoli membri.

lunedì 15 febbraio 2010

Storia del pensiero antropologico

di Alan Barnard
Sintesi di Serafin Marilisa

Capitolo primo
Concezioni dell'antropologia
1. Antropologia ed etnologia:
Il termine «antropologia» deriva dal greco (anthropos, «uomo», e logos, «discorso» o «scienza»).
La parola tedesca «Ethnologie» descriveva gli attributi culturali di differenti gruppi etnici. Questo termine è ancora utilizzato, anche se è sempre più frequentemente sostituito dal suo sinonimo «antropologia sociale» - Stati Uniti. Ulteriore distinzione tra Volkskunde e Volkerkunde, la prima in riferimento allo studio del folclore e dei costumi, la seconda è più propriamente la scienza sociale, conosciuta in tedesco anche come Ethnologie, di tipo comparativo e di più ampio respiro. Antropologia ed etnologia non sono quindi un solo campo di studio. Oggigiorno è meglio considerarle come centri d'interesse per la discussione di questioni differenti, il cui oggetto però è definito in riferimento all'opposizione tra ciò che è culturalmente generale (antropologia) e ciò che è culturalmente specifico (etnologia).
2. L'approccio delle «quattro aree». In America settentrionale la parola antropologia include 4 sottodiscipline:
1. antropologia biologica
2. archeologia
3. antropologia linguistica
4. antropologia culturale
3. Teoria ed etnografia
La prima è letteralmente l'attività di scrivere sulle popolazioni, la seconda è il modo in cui conferiamo senso al nostro modo di pensare antropologico. Teoria ed etnografia si fondono inevitabilmente.
E' utile pensare che nella teoria ci siano questi 4 elementi fondamentali:
1) le domande; 2) gli assunti; 3) i metodi; 4) i dati.
Altri 2 aspetti peculiari della ricerca antropologica:
1. osservare la società nel suo complesso
2. esaminare ogni società in relazione ad altre
4. Paradigmi antropologici
La nozione di «paradigma»
La prospettiva teorica (cosmologia o paradigma) definisce le questioni più importanti che coinvolgono un teorico.
Thomas Khun, filosofo, La struttura delle rivoluzioni scientifiche: I paradigmi sono grandi teorie che contengono al loro interno teorie più piccole. Quando queste ultime non riescono più a dare un senso al mondo, avviene una crisi, che ha come risultato o il rigetto del paradigma o la sua incorporazione, in quanto caso speciale, in un altro più nuovo e più ampio (es: differenza tra la fisica newtoniana e quella einsteiniana)...
Prospettive teoriche in competizione all'interno di ogni quadro di riferimento => forniscono spiegazioni diverse della stessa cosa, eppure in realtà sono parte della stessa teoria -> gerarchie di livelli teorici:
Prospettive diacroniche, sincroniche e interattive
  - Prospettive diacroniche, sincroniche
Evoluzionismo
Diffusionismo
Marxismo (per certi aspetti)
Approcci delle aree culturali (per certi aspetti)
   - Prospettive sincroniche
Relativismo (compreso «cultura e personalità»)
Strutturalismo
Struttural-funzionalismo
Approcci cognitivisti
Approcci delle aree culturali (per certi aspetti)
Funzionalismo (per certi aspetti)
Interpretativismo (per certi aspetti)
   - Prospettive interattive
Transazionalismo
Approccio processuale
Femminismo
Poststrutturalismo
Postmodernismo
Funzionalismo (per certi aspetti)
Interpretativismo (per certi aspetti)
Marxismo (per certi aspetti)
Società e cultura
Paradigmi: interesse principale
    -per la società: Evoluzionismo, Funzionalismo, Struttural-funzionalismo,Transazionalismo, Approccio processuale, Marxismo, Poststrutturalismo (per certi aspetti), Strutturalismo (per certi aspetti), Approcci delle aree culturali (per certi aspetti), Femminismo (per certi aspetti).
    -per la cultura: Diffusionismo, Relativismo, Approcci cognitivisti, Interpretativismo, Postmodernismo, Approcci delle aree culturali (per certi aspetti), Strutturalismo (per certi aspetti), Poststrutturalismo (per certi aspetti), Femminismo (per certi aspetti).
Le prime questioni di cui l'antropologia si occupò avevano a che fare con la natura della società: come fosse accaduto che gli esseri umani si unissero l'un l'altro, e come e perchè le società mutassero col tempo. Quando l'interesse per la diacronia fu superato, ci si occupò di come la società è organizzata o funziona.I funzionalisti, gli struttural-funzionalisti e gli strutturalisti dibattevano tra loro se si dovessero enfatizzare le relazioni tra individui, le relazioni tra le istituzioni sociali, o le relazioni tra le categorie sociali nelle quali gli individui sono inseriti. Nondimeno erano ampiamente d'accordo sul fatto che l'interesse fondamentale fosse per il sociale piuttosto che per il culturale. Lo stesso si può dire dei transazionalisti, dei processualisti e dei marxisti. Il diffusionismo portava in sé il seme del determinismo culturale -> spinto all'estremo col relativismo di Franz Boas.
5. Concezioni della storia dell'antropologia:
a) Sequenza di eventi o di nuove idee
b) Successione di periodi temporali
c) Sistemi di idee
d) Insieme di tradizioni nazionali parallele
e) Processo di «agenda-hopping»
La forma che assume la teoria antropologica dipende in realtà da come si guarda alla storia della disciplina. L'antropologia si sta evolvendo per stadi, vale a dire attrraverso una sequenza di eventi o di nuove idee? O forse consiste in una sucessione di periodi di tempo più ampi, siano essi stadi di sviluppo o paradigmi kuhniani? Attraversa trasformazioni strutturali? Si sviluppa attraverso correnti d'influenza, divergenti e convergenti, tra tradizioni nazionali distinte? O si può considerare la storia della disciplina essenzialmente come un'agenda-hopping?
Ciascuna di queste 5 possibilità è un punto di vista legittimo sulla storia dell'antropologia.

Capitolo secondo
Precursori della tradizione antropologica
«Storia delle idee» antropologiche
-concetto di «controllo sociale»
-idea di grande catena dell'essere
1. Diritto naturale e contratto sociale
Durante il tardo Rinascimento e l'Illuminismo -> forte interesse riguardo alla condizione naturale dell'uomo. Tuttavia-> credenza nell'esistenza di creature al confine tra l'uomo e la bestia. Affinchè l'antropologia nascesse, era necessario che si superasse questo genere di fantasie tipiche di resoconti di viaggio.
Il diciasettesimo secolo
Ugo Grozio, De jure belli ac pacis (1625): Egli sosteneva che le stesse leggi naturali che reggono il comportamente degli individui all'interno delle loro rispettive società reggono anche le relazioni tra società in pace e in guerra.
Samuel Puffendorf, lavorava in Germania e Svezia: Egli credeva che società e natura umana fossero in un certo senso indivisibili, poichè gli esseri umani sono per natura esseri socievoli.
Thomas Hobbes, in Inghilterra nel frattempo rifletteva sull'inclinazione naturale nell'uomo, non tanto a formare società, quanto a perseguire il proprio interesse -Z individui razionali riconoscevano la necessità di doversi sottomettere ad un'autorità per ottenere pace e sicurezza => le società quindi si formavano con il consenso e l'accordo comune (il «contratto sociale»)
John Locke, in Inghilterra: il consenso al contratto sociale non implicava totale sottomissione, ma era necessario per risolvere le dispute.
L'Ottocento
J. J. Rousseau: Nel suo saggio, Il contratto sociale, R. attacca Grozio negando che il potere sia istituito a beneficio di chi è governato.
Per R. governo e contratto sociale sono cose diverse. Il governo derivò dal desiderio che i ricchi avevano di proteggere le proprietà che avevano acquisito. Il contratto sociale, al contrario, si basa sul consenso democratico.
La teoria del contratto sociale presumeva una divisione logica tra «stato di natura» e «stato della società» e i suoi sostenitori descrissero quasi sempre la sua nascita come originata da un gruppo di persone allo stato di natura che si riuniscono e si accordano per formare una società.
Oggi moltissimi antropologi accetterebbero l'idea che non è possibile separare il «naturale» dal «culturale», perchè entrambi sono intrinseci all'idea stessa di umanità.
2. Definizione di umanità nell'Europa del diciottesimo secolo
Un certo numero di importanti questioni antropologiche fu posto per la prima volta in forma moderna durante l'Illuminismo: cosa definisce in astratto la specie umana, cosa la distingue dagli animali, e qual'è la condizione naturale degli esseri umani? Su tali questioni l'attenzione si concentrò su 3 forme di vita: i «ragazzi selvaggi» e le «ragazze selvagge», trovati soli nei boschi e a cui si insegnavano le «maniere civili»; gli «Orang Outang» (primati), interessante il dibattito tra Lord Monboddo e Lord Kames; e i «Selvaggi» (abitanti indigeni di altri continenti), Rousseau: Saggio sull'origine della disuguaglianza, Adam Smith, Adam Ferguson.
Il pensiero Sociologico e antropologico
Distinta dall'interesse romantico per i ragazzi selvaggi era la tradizione sociologica:
Mentre Lévi-Strauss sostenne una volta che Rousseau era il fondatore delle scienze sociali, Radcliffe-Brown concesse quuest'onore a Montesquieu; e lo stile delle posteriori tradizioni strutturalista e struttural-funzionalista devono molto, rispettivamente, al razionalismo di Rousseau e all'empirismo di Montesquieau.
All'alba del diciannovesimo secolo il conte Saint-Simon e successivamente il suo allievo Auguste Comte, proposero concezioni che combinavano l'interesse di Montesquieu per una scienza della società col desiderio di incorporarla in un quadro di riferimento che comprendesse anche la fisica, la chimica e la biologia => vediamo emergere la disciplina che Comte chiamò sociologia.
Il campo della sociologia che Comte proponeva comprendeva le idee di Montesquieu, Saint-Simon e di altri autori francesi, e anche gran parte di quello che sarebbe stato più tardi riconosciuto come un pensiero antropologico evoluzionista sulla società.
Tutte le scienze sociali, compresa la sociologia, devono le loro origini almeno in parte a quella che nell'Ottocento era nota come filosofia morale. La biologia moderna prese avvio dall'interesse ottocentesco per la storia naturale. La sociologia in un certo senso, nacque da un deliberato battesimo da parte di Comte, che la considerava simile alla biologia. Eppure, mentre è chiaro lo sviluppo della sociologia dalle idee precomtiane, passando per Comte e i suoi sucessori, non lo è quello dell'antropologia o dell'etnologia.
Le idee antropologiche furono precedenti sia alla formazione della disciplina sia al suo nome.
Poligenesi e monogenesi
Si sostiene spesso che i primi anni del diciannovesimo secolo sono un'epoca poco interessante per gli storici dell'antropologia.
L'antropologia così come noi la conosciamo dipende dall'accettazione dell'idea di monogenesi -> controversia tra i monogenisti e i loro oppositori.
Le teorie dell'evoluzione culturale:
Monogenesi= una sola origina; Poligenesi = più di un'origine.
Gli evoluzionisti del diciannovesimo secolo, europei e americani bianchi, credevano che tutte le società si fossero evolute passando per gli stessi stadi => lo studio delle razze «inferiori» avrebbe potuto dire qualcosa sulle prime fasi delle loro società. Il campo monogenista era concentrato in due organizzazioni: APS, un'organizzazione per i diritti umani, e la ESL che nacque dal suo ramo scientifico. Molti dei leader di entrambe erano quaccheri. In quel tempo solo i membri della Chiesa d'Inghilterra potevano frequentare le università inglesi, così i quaccheri che volevano frequentare le università erano costretti a uscire dall'Inghilterra. Le loro idee antropologiche derivavano in ultima istanza da Montesquieu -> Essi portarono la sua piccola fiamma monogenista attraverso i giorni bui del dominio poligenista.
Il primo leader dei poligenisti fu Robert Knox. Tra coloro che avanzarono l'ipotesi monogenista vi era in primo luogo J. C. Prichard: egli riteneva che le razze «inferiori» fossero in grado di migliorarsi.
E' ironico constatare come coloro che prestavano fede alla poligenesi nutrissero un interesse per le differenze tra i gruppi umani.
Mentre i poligenisti chiamavano se stessi «antropologi», la maggior parte dei monogenisti preferiva definirsi col termine di «etnologi».
Le loro battaglie servirono a formare la disciplina, e significherebbe negare questo fatto fondamentale se ignorassimo e ricordassimo solo i nostri vittoriosi antenati intellettuali, i monogenisti.
La disciplina comprende sia lo studio di ciò che nella natura umana è comune a tutte le «razze», sia quello delle differenze culturali tra i popoli.

Capitolo terzo
Il mutamento di prospettive sull'evoluzione
Ci sono 4 grandi filoni di pensiero in antropologia:
-evoluzionismo unilineare------*
-evoluzionismo universale-----*
-evoluzionismo multilineare---*
-neodarwinismo----------------°
*----approcci gradualisti, denominazione viene da J. Steward, un esponente dell'evoluzionismo lineare.
°----si presenta sotto vesti differenti, dalla sociobiologia degli anni Settanta fino ad approcci più recenti che trattano l'origine della cultura simbolica
1. Biologia e antropologia
Importanti differenze tra la grande catena dell'essere ('700) e la teoria dell'evoluzione (fine '800):
a) il concetto di «evoluzione» possiede un aspetto temporale oltre che spaziale: le cose cambiano o evolvono nel tempo;
b) concezione della mutabilità delle specie. Forme inferiori si evolvono in forme superiori.
J.-B. de Lamarck (1809): riteneva che gli organi migliorano o decadono a seconda se siano o meno usati secondo il loro potenziale. Sosteneva pure che gli individui acquisivano caratteristiche che potevano essere trasmesse ai loro discendenti (una ragazza che impara a dipingere in giovane età, può trasmettere questo talento ai figli). L. aveva un'idea di evoluzione, ma ne aveva frainteso il meccanismo.
Charles Darwin (1859) rifiutò la concezione lamarckiana. Sosteneva invece che l'evoluzione procedeva solo attraverso la trasmissione dei tratti genetici -> meccanismo di evoluzione come «selezione sessuale».
Si può comunque sostenere che la teoria diLamarck sia sensata. Benchè i tratti acquisiti non possano essere trasmessi nell'utero, nondimeno tratti culturali di nuova invenzione possono essere trasmessi da un individuo all'altro. I nuovi tratti culturali hanno la capacità di trasformare le relazioni sociali esistenti. Le società divengono più complesse nel corso di questo processo.
2. L'evoluzionismo unilineare: Fine '800.
Concezione secondo la quale esiste una linea di evoluzione dominante -> tutte le società passano attraverso gli stessi stadi.
L'evoluzionismo unilineare si basava sull'assunto che le cose accadono e cambiano nello stesso modo in tutte le parti del mondo.
Maine, Lubbock e Morgan
Maine (giurista scozzese con una conoscenza specialistica del diritto romano): Si oppose alla teoria del contratto sociale sostenendo che la società ha origine nella famiglia e in gruppi di parentela costruiti sulla famiglia -> teoria della parentela.
Lubbock: istituì le «bank holidays».
Morgan: condusse ricerca sul campo; studiò il sistema di parentela degli irochesi e le loro istituzioni politiche tradizionali; sviluppò un modello comparativo per comprendere i sistemi di parentela di tutto il mondo -> le sue idee chiave in antropologia furono riprese da Marx e soprattutto da Engels -> proprietà privata come forza motrice dell'evoluzione.
Matrilinearità e patrilinearità
Nell'Ottocento la maggior parte degli studiosi riteneva che la matrilinearità precedesse la patrilinearità.
Lubbock mantenne un certo scetticismo.
McLennan sosteneva la matrilinearità per ragioni di lotta per il cibo -> a carenza di donne portava alla poliandria.
Morgan, a sostegno della matrilinearità, basò la sua tesi sulla terminologia della parentela.
Bachofen, Il matriarcato (1861): la sua teoria anticipò anche alcune più recenti prospettive rivoluzionarie, e in effetti femministe, sulla «società primitiva».
E' importante ricordare che tutte queste riflessioni erano svolte all'interno del quadro di riferimento dell'evoluzione unilineare. C'era scarso interesse per la diversità culturale in sé. Per gli evoluzionisti unilineari la diversità culturalke era importante solo come indicatore di differenti stadi di un più grande schema evolutivo. Forse è significativo anche il fatto che la maggior parte dei protagonisti principali erano avvocati. L'antropologia come la conosciamo oggi ebbe dunque inizio con il diritto (diritto naturale, contratto sociale, dispute su famiglia e parentela..).
3. Le teorie sul «totemismo» (dal 1875)
Negli ultimi venticinque anni del diciannovesimo secolo, benchè l'interesse per la parentela rimanesse forte, altri aspetti della cultura diventarono centri d'interesse. Tra questi c'era la religione, e in particolar modo il totemismo - la rappresentazione simbolica del sociale per mezzo del naturale. elementi di totemismo si trovano soprattutto nel pensiero degli aborigeni australiani. La parola «totem» è tratta dalla lingua ojibwa. Nel pensiero ojibwa il totem è rappresentato da una specie di animale, e simboleggia il clan patrilineare-> vige una regola secondo cui una donna non può sposare qualcuno che abbia il suo stesso totem. Concezioni simili si trovano anche in altre culture, ma ci sono delle differenze: ci sono totem individuali, del clan, della fratria, della metà, di sezione o sottosezione, territoriali.
Per quanto ampi fossero i disaccordi, quasi tutti i teorici del tempo videro una relazione tra totemismo ed esogamia, e la maggior parte ritenne che il totemismo si fosse evoluto per primo.
Il primo esempio di «cultura primordiale» si era dunque spostato dai romani di Maine agli aborigeni.
Tra le teorie del totemismo è interessante quella di Sigmund Freud: considerò sia il mito greco di Edipo sia il «complesso di Edipo» come «memorie» di questi eventi lontani.
4. Tylor e Frazer sulla religione «primitiva»
Tylor: esplorò l'evoluzione della cultura attraverso la dottrina delle «sopravvivenze»=> la cultura contemporanea trae elementi che hanno perso la loro funzione, ma la cui esistenza è testimonianza della loro importanza nel passato. questa teoria consisteva in uno schema di evoluzione dell'«animismo», una dottrina secondo la quale le anime esistono indipendentemente dal mondo materiale. Egli segnalò che in ogni società umana esiste la credenza in un'essenza spirituale che sopravvive alla morte. Eglicredeva che il feticismo e il totemismo si fossero sviluppati dall'animismo.
Frazer (studioso di letteratura classica): Nel suo Il ramo d'oro tenta di spiegare l'assassinio degli antichi re-sacerdoti italici, ciascuno ucciso dal suo successore, fondendo mito e storia, etnografia e ragione, costruendo una fantasiosa e poetica rassegna della psiche umana e dell'ordine sociale.
5. L'evoluzionismo universale: Inizi 1900
attenuazione dei dogmi dell'evoluzionismo unilineare. esistenza di precise fasi unilineari non poteva più essere sostenuta  furon invece postulate delle grandi fasi «universali», come la classica distinzione tra «stato selvaggio», «barbarie» e «civiltà». La nuova generazione di evoluzionisti reagì alla tendenza funzionalista, e specialmente relativista, della maggior parte degli antropologi del tempo. I principali fautori dell'evoluzionismo universale furono:
V. Gordon Childe (archeologo australiano): preistoria e storia dovessero essere la stessa disciplina, ma con metodologie diverse. Scritti: L'uomo crea se stesso, Il progresso nel mondo antico -> evoluzione dalla caccia e raccolta, alla nascita dell'agricoltura, alla formazione degli stati, alla rivoluzione urbana, alla rivoluzione della conoscenza umana. Le sue teorie furono ampiamente accettate in archeologia, dove l'evoluzionismo universale è una teoria più naturale dell'umanità di quanto non sia nell'antropologia culturale.
Leslie A. White (antropologo culturale statunitense): evoluzioista isolato in un mare di relativismo. Noto per le sue opere teoriche: La scienza della cultura, Te evolution of culture. La versione dell'evoluzionismo di W. continuò anche dopo la sua morte grazie al lavoro dei suoi allievi. Tuttavia con la nascita dell'ecologia culturale la loro concezione diventò più particolaristica e il loro approccio decisamente più multilineare.
6. L'evoluzionismo multilineare e l'ecologia culturale
Julian H. Steward: Postula l'esistenza di linee diverse di evoluzione culturale e tecnologica a seconda di quale fosse la regione del mondo. Scritti: Teoria del mutamento culturale (saggio sui cacciatori-raccoglitori).
George Peter Murdock: sviluppò un approcciò abbastanza diverso, ma ugualmente multilineare ed ecologico, stabilì con precisione delle correlazioni statistiche tra modelli di residenza postmatrimoniale e tentò di spiegare le ragioni che stavano a monte, per metterle in relazione statistica con altri modelli, come i mezzi di sussistenza e le terminologie di parentela. => quando cambiano i modi di discendenza, allo stesso modo dovrebbero cambiare le terminologie di parentela => si può postulare una relazione causale, ed evolutiva, tra questi elementi della cultura.
7. Il neodarwinismo
comprende due principali scuole di pensiero molto diverse tra loro: la sociobiologia (che si pone in continuità con la biologia) e quello che potrebbe essere chiamato il pensiero «rivoluzionista» (opposto a un pensiero strettamente evoluzionista, che riprende l'ottocentesca ricerca delle origini e ritorna perfino all'interesse, tipico dell'Ottocento, per il totemismo e la promisquità primitiva).
La sociobiologia
E. O. Wilson: cultura e società umana come semplici appendici della natura animale.
Robin Fox: aspetti dei sistemi di parentela si trovano anche tra i primati non umani. Questo ragionamento però contraddice la teoria più diffusa dell'antropologia strutturalista, che segue Lévi-Strauss nell'affermare che il tabù dell'incesto segna il confine tra gli animali e gli uomini.
Marvin Harris: attaccò la sociobiologia come riduzionismo biologico.
Marshall Salins: "Nel vuoto lasciato dalla biologia, trova posto tutta l'antropologia".
Tuttavia la sociobiologia non ebbe mai successo nel superare l'antropologia: c'erano troppe cose che lasciava inspiegate.
Tendenze attuali
In gran Bretagna si stanno stabilendo nuovi legami tra l'antropologia sociale e la linguistica, l'archeologia e la biologia umana, visto che tutte queste discipline hanno a che fare con la medesima questione.
Esponenti: T. Ingold e Knight.

Capitolo quarto
Il diffusionismo e le teorie delle aree culturali
Un presupposto implicito del diffusionismo estremo è che l'umanità non è creativa: le cose si inventano una volta sola, e poi vengono trasmesse da un popolo all'altro. (Al contrario, l'evoluzionismo classico assume che il genere umano è creativo; ogni popolazione ha la propensione ad inventare le stesse cose di un'altra, benchè esse lo facciano a differenti velocità).
Teoria delle «aree culturali», aspetto importante della tradizione etnografica di Franz Boas.
1. Gli antecedenti del diffusionismo: la filologia, Müller e Bastian
Il diffusionismo ebbe origine all'interno della tradizione filologica ottocentesca, che ipotizzò connessioni storiche tra tutte le lingue della famiglia linguistica indoeuropea.
La tradizione filologica: un diffusionismo prima dei diffusionisti?
Somiglianze tra il sanscrito, il greco e il latino. Il basco, una lingua europea, ma non indoeuropea. Stretta relazione tra linguaggio e cultura. Studio comparato della grammatica indoeuropea.
Sono tutte questioni che successivamente entrarono nell'antropologia col nome di diffusionismo.
Müller: (legame con l'evoluzionismo britannico) si dedicò al sanscrito, aiutò a diffondere sia l'idea, essenzialmente evoluzionista, di unità psichica sia quella diffusionista che, oltre alle lingue, anche le religioni dell'antica Grecia e di Roma erano connesse a quelle indiane.
A. Bastian: diede al mondo un'opposizione teorica che era ben in anticipo sui tempi cioè la distinzione tra «idee elementari», che consistono in quelli che sarebbero stati poi chiamati «universali culturali» e che nel complesso costituiscono l'unità psichica del genere umano, e «pensieri del popolo» (o «idee folk») che per contrasto rappresentano gli aspetti della cultura che variano da luogo a luogo. Egli attribuì tali differenze all'ambiente fisico e agli eventi casuali della storia.
La definitiva attenzione per i pensieri del popolo tracciò il sentiero per il diffusionismo.
Il diffusionismo vero e proprio
Divenne rilevante alla fine dell'Ottocento.
F. Ratzel: fu il primo grande diffusionista. Si oppose all'assunto, di Bastian, dell'unità psichica e dove possibile cercò testimonianze del contatto culturale come causa delle somiglianze tra culture. Sosteneva che i singoli oggetti della cultura tendessero a diffondersi, mentre gli interi «complessi culturali» si trasmettevano con la migrazione. La cultura si sviluppava principalmente attraversomigrazioni massicce e la conquista di popolazioni più deboli da parte di popolazioni più forti, e culturalmente più avanzate. Ratzel mantenne un forte elemento evoluzionista nella sua posizione teorica => evoluzionismo e diffusionismo finirono per essere riconosciute come due prospettive logicamente opposte ma nondimeno complementari, che dipendevano l'una dall'altra per una piena spiegazione della storia della cultura umana. Ratzel fu probabilmente il primo a dividere il mondo in quelle che oggi chiamiamo «aree culturali».
Frobenius: ampliò grandemente il suo metodoe la sua teoria. Idea di «cerchi culturali», cioè grandi aree culturali che in certi casi si diffondono per tutto il mondo e soppiantano quelle che sono esistite prima (per esempio la cultura dell'arco e della freccia su quella della lancia). Nelle sue ultime opere rivolse la sua attenzione nel paideuma, termine greco che significa «educazione», l'«anima» di una cultura. Egli aiutà a sviluppare la nozione di «visione del mondo» che avrebbe dominato l'antropologia americana nella sua fase relativista. Postulò due visioni del mondo: quella «etiopica» e quella «amitica» opposte l'una all'altra.
Graebner: pose l'accento su forma e quantità come criteri distinti per valutare la possibilità che due culture qualsiasi fossero storicamente collegate. I suoi tentativi di porre su una base scientifica la ricerca di cerchi culturali geografici (come quello «tasmaniano», quelli del «boomerang australiano», dell'«arco melanesiano», e il «patrilineare polinesiano») e di strati culturali sovrapposti rappresentarono un momento alto nel pensiero diffusionista.
Schmidt: sacerdote cattolico con un interesse particolare per le religioni africane, distinse quattro cerchi culturali di base: 1) cerchio primitivo di cacciatori e raccoglitori; 2) primario degli orticoltori; 3)secondario, un misto tra i due precedenti; 4) terziario, che consisteva in una complessa mistura di tratti di differenti culture appartenenti al cerchio secondario. Uno Egli ipotizzò che la religione fosse iniziata con un monoteismo primitivo, derivato dalla conoscenza che l'umanità dei tempi antichi aveva del suo vero Dio => ogni successivo cerchio aveva sviluppato una migliore tecnologia e una miglior organizzazione sociale, allontanandosi così dalla primitiva religione monoteistica.
3. Il diffusionismo britannico
Mentre il diffusionismo regnava in Germania e Austria, in altre parti si introdusse nel pensiero antropologico principalmente come una limitazione della semplicità dell'evoluzionismo lineare.
Presto la coesistenza di evoluzionismo e diffusionismo sarebbe stata messa in discussione in Gran Bretagna forse incitata dal crescente pessimismo dopo la morte della regina Vittoria nel 1901 e dalle manovre politiche degli stati europei, che presagivano la prima guerra mondiale. Il nuovo simbolo di quanto aveva ottenuto l'umanità era l'antico Egitto, e la degenerazione, più che l'evoluzione, tracciò la traiettoria dei diffusionisti britannici dalla società egizia a quella vittoriana. Ma i progressi scentifici dell'arceologia negli anni Quaranta provarono al di là di ogni dubbio che l'Egitto del 4000 a.C. non sarebbe potuto essere la culla della civiltà umana, e diedero il colpo di grazia al diffusionismo britannico. Intanto anche l'antropologia americana si era sviluppata, ma avendo come base il diffusionismo austrotedesco piuttosto che quello britannico.
Il diffusionismo oggi?
Ampio dibattuto: se le somiglianze tra culture derivino più dalla trasmissione di geni o culture tra popolazioni stanziali oppure più dalla migrazione di popoli da un luogo all'altro.
tuttavia il diffusionismo sopravvive, se non altro per idee come quella di «area culturale», teorie del sistema-mondo o della globalizzazione=> forti analogie.
4. Approcci delle aree culturali e regionali
Due tipi di approccio delle aree culturali: 1) quello dell'antropologia americana, sviluppatosi dall'approccio austrotedesco; 2) quello della «comparazione regionale», che si caratterizza per la ricerca di cause e regolarità.
L'approccio delle aree culturali nell'antropologia americana
L'antropologia americana iniziò con la migrazione di Franz Boas, tedesco, e si consolidò per tutto il continente nordamericano attraverso il lavoro di altri di madrelingua tedesca o comunque di gente che aveva studiato in Germania o in Austria.
Tra questi, Boas, Lowie, Sapir, e specialmente Kroeber contribuirono a sviluppare la nozione di area culturale.
Da Boas in poi, gli antropologi americani dell'inizio del ventesimo secolo tesero a enfatizzare il particolare rispetto al generale. In particolare il rifiuto da parte di Boas dell'evoluzionismo, la sua minimizzazione della diffusione, e soprattutto la sua insistenza sulla raccolta meticolosa di dati etnografici, contribuirono al cambiamento dell'agenda antropologica.
Eppure, alcuni esponenti della sua scuola tornarono alla storia e alla congettura, e con un certo successo.
Herskovits: il «complesso del bestiame dell'Africa orientale» (dove c'è bestiame, ci sono anche il nomadismo, la discendenza patrilineare, classi di età, ricchezza della sposa...).
C. Wissler: il suo maggior contributo fu l'ipotesi delle aree cronologiche, cioè che i tratti culturali tendevano a diffondersi dal centro alla periferia di ogni area culturale.
Questa ipotesi riunì assieme diffusione ed evoluzione nel quadro di riferimento degli studi sulle aree culturali: l'evoluzione avveniva al centro di una data area culturale, e la diffusione avveniva dal centro alla periferia.
Questa interazione tra evoluzione e diffusione divenne ancora più evidente quando l'antropologia americana abbandonò il relativismo estremo di Boas.
Steward: era l'artefice dell'evoluzionismo multilineare, ma le sue teorie avevano anche un fondamento diffusionista. Fondamentale distinzione tra il «nucleo cultuirale» e la «cutura totale» (enfatizzazione dall'ambiente naturale come fattore limitante della cultura, e la tecnologia come quello che la rendeva possibile).
Steward e i suoi seguaci dimostrarono questo principio generale e verificarono i limiti del determinismo ambientale con studi comparativi. Tutto ciò fu d'aiuto a completare la mappa etnografica e ad accrescere l'interesse per la comparazione interculturale in quanto obiettivo della ricerca antropologica.
Comparazione regionale, tradizioni nazionali e tradizioni regionali
3 tipi di comparazione:
1)illustrativa: Comporta la scelta di esempi allo scopo di fare il punto sulla differenza o sulla similarità culturale.
2)globale: Comporta il confronto di un campione di società per trovare relazioni statistiche tra caratteristiche culturali, o (nell'antropol. ecologica)  tra caratt. ambientali e culturali.
3)controllata: scopo intermedio. Comporta la restrizione del campo delle variabili, limitando le comparazioni all'interno di una regione. La comparazione regionale è stata prevalente nel lavoro di diversi antropologi appartenenti a diverse scuole (Frobenius, diffusionista; Steward, evoluzionista; Radcliffe-Brown e Fred Eggan, funzionalisti).
Gli studi olandesi diedero origine a una forma strutturalista di comparazione regionale => campi di studio etnologico, ciascuno definito da un insieme di caratteristiche (nocciolo strutturale). Nelle Indie orientali olandesi un nocciolo strutturale comprendeva, per esempio, un sistema di matrimonio in cui il lignaggio della moglie è di status maggiore di quello del marito. Tra i maggiori esponenti di questa teoria: Josselin de Jong; 40 anni dopo: l'antropologo sudafricano Adam Kuper, con l'Africa come area d'interesse.
Sia per l'abbondanza di dati etnografici recenti sia per la comodità di fare confronti tra società strettamente connesse, è possibile che la tendenza verso gli studi regionali continui. Ulteriore tendenza: le «tradizioni regionali» in etnografia.
Quindi: Sia le caratteristiche culturali delle regioni stesse sia gli interessi di quegli antopologi che vi hanno lavorato aiutano a fissare l'agenda dei nuovi studiosi che si preparano a svolgere ricerca sul terreno.

Capitolo quinto
Funzionalismo e struttural-funzionalismo
1. I precursori evoluzionisti e l'analogia organica
Le società anno strutture simili a quelle degli organismi. I sistemi sociali come la parentela, la religione, la politica e l'economia, presi tutti insieme costituiscono la società, proprio come i diversi sistemi biologici formano, tutti insieme, l'organismo.
Una semplice rappresentazione di questa analogia è essenzialmente radcliffebrowniana:
-Sistema di un organismo -> sistema riproduttivo-sistema cardiocircolatorio-sistema digestivo-sistema nervoso
-Sistema di una società -> parentela-religione-economia-politica
2. La sociologia di Durkheim
Dopo una mediocre carriera da studente e un periodo in cui insegnò filosofia, D. ottenne un incarico universitario (il primo in Francia in scienze sociali)
In Le forme elementari della vita religiosa affronta il tema della religione nelle società «primitive». Nonostante si esprima ancora con un vocabolario evoluzionista, verso la fine del libro le spiegazioni di D. assumono un sapore maggiormente funzionalista man mano che passa dalla credenza al rituale. Nel rituale, sostiene, la gente venera la società stessa, dato che l'ordine cosmologico è costruito sull'ordine sociale.
D. scrisse Su alcune forme primitive di classificazione con il suo nipote e allievo Marcel Mauss, che essi concludono  affermando che esiste una stretta relazione tra società e classificazione della natura. Inoltre ravvisano una continuità tra pensiero primitivo e pensiero scientifico.
Le opere di Mauss si rivelarono molto influenti in diverse aree dell'antropologia. Probabilmente, la più importante, e certamente la più funzionalista, fu il suo «saggio sul dono» -> egli sostiene che benchè i doni siano in teoria spontanei, sono causati nondimeno da un'aspettativa da parte di chi li riceve (è sempre presente un elemento di restituzione) -> il dono quindi, non è libero, ma incorporato in un sistema di diritti e obblighi che in ogni società formano la parte della struttura sociale.
Qui vale la pena sottolineare che, un tempo, antropologia e sociologia avevano il potenziale di diventare una singola disciplina.
3. Il funzionalismo di Malinowski
Malinowski: a sua posizionenell'antropologia britannica è analoga a quella di Boas in quella americana. Come Boas, si oppose all'evoluzionismo da tavolino e inventò una tradizione di ricerca sul campo basata sull'uso della lingua dei nativi nell'«osservazione partecipante». Nato a Cracovia nel 1884, figlio di un professore di filologia slava, si laureò nel 1908 in matematica, fisica e filosofia con i voti più alti di tutto l'impero austroungarico. Studiò antropologia alla London School of Economics e poi partì per l'Australia. Dopo la guerra tornò alla London School of Economics, dove insegnò dal 1922 al 1938. Fu in questo periodo che la sua influenza raggiunse l'apice.
Funzionalismo e ricerca sul campo
«antropologia malinowskiana» =
-metodo di ricerca sul campo -> il calcolo induttivo
-teoria della cultura e degli universali culturali -> teoria scientifica della cultura
Il funzionalismo dello stile di ricerca sul campo di M. non era diverso da quello di Radcliffe-Brown, ma M. era un ricercatore migliore. Egli incoraggiò lunghi periodi di ricerca sul campo a stretto contatto con gli informatori. La sua opera più amosa è Argonauti nel Pacifico occidentale (1922), ma straordinario fu anche il suo lavoro sulle relazioni tra genitore e figlio, che metteva alla prova i punti centrali della psicologia freudiana. Secondo M. i trobriandesi ignoravano la paternità biologica; il ruolo paterno, quindi, sarebbe stato abbastanza diverso rispetto a quello esistente nelle società patrilineari. Parecchi anni dopo Radcliffe-Brown e Lévi-Strauss avrebbero discusso questo sistema classico di relazioni intrattenute da un fanciullo con padre e zio materno.
Ciò che rende il contributo di M. al problema dell'«avuncolato» particolarmente interessante è il fatto che il suo ragionamento deriva da una profonda comprensione etnografica e questo lo pose in una situazione di vantaggio, almeno nei confronti di Freud.
M. sostiene che una consuetudine è «organicamente connessa» al resto della cultura e che è necessario che il ricercatore cerchi i «fatti visibili»che governano l'interconnessione tra le diverse sfaccettature dell'organizzazione sociale => queste vengono scoperte secondo il «metodo induttivo».
Una teoria scientifica della cultura?
Alla fine della sua vita M. si accinse a riassumere la sua prospettiva, in effetti in un modo assai singolare, spesso criticato perchè troppo evidente o al contrario impenetrabile.
Dopo aver definito che cos'è la cultura, M. propone:
-Paradigma in 11 parti: una teoria delle «sequenze vitali» => elementi fondamentali, di tipo biologico, incorporati in tutte le culture.
-Paradigma in 7 parti: relazione tra sette «bisogni fondamentali» e le «risposte culturali» ad essi corrispondenti.
-Paradigma in 4 parti: quattro «imperativi strumentali» piuttosto complessi e «risposte culturali» ad essi corrispondenti.
-Infine affronta gli «imperativi integrativi» e «la sequenza vitale strutturalmente compiuta»
Nonostante il fallimento di questo tentativo, M. viene ricordato come il fondatore della più grande tradizione di ricerca sul campo in antropologia, e i suoi metodi sono considerati l'essenza dell'antropologia britannica insieme alla teoria di Radcliffe-Brown, almeno quanto lo spirito di Boas rimase in quella americana.
Malinowski e Boas morirono entrambi nel 1942, durante la guerra.
4. Lo struttural-funzionalismo di Radcliffe-Brown
Una scienza naturale della società?
Radcliffe-Brown: si pronunciò a favore di una prospettiva comparativa. In quanto induttivista riteneva che un giorno l'antropologia avrebbe scoperto per mezzo della comparazione «le leggi naturali della società». In quanto empirista sosteneva che gli antropologi avrebbero dovuto studiare solo ciò che trovavano sul campo. Egli voleva i fatti e il modo più semplice di connetterli era attraverso lo studio della società come un'unità composta da parti vive e in interazione tra loro.
Tra le opere ricordiamo Natural Science of Society ove egli propone l'idea di un'unica e unificata scienza sociale. Critica l'antropologia di matrice boasiana in quanto ponendo l'accento sulla «cultura» si perdeva di vista la «società». La concezione che R.-B. aveva della cultura era essenzialmente un sinonimo di inculturazione o più precisamente di socializzazione: un modo di imparare a vivere in società; R.-B. non poteva comprendere il desiderio di Boas di esaltare le differenze tra le popolazioni.
Tesi: una scienza naturale e teorica della società umana è possibile, ma ce ne può essere solo una di questo genere, che non esiste ancora se non a uno stadio molto elementare => una soluzione a tutti i problemi che questa scienza presenta deve dipendere dalla comparazione sistematica di un numero sufficiente di società di tipo sufficientemente diverso =>o sviluppo di tale scienza dipendeva, allora, dal graduale miglioramento del metodo comparativo come strumento di analisi.
=> Enfasi posta sulla comparazione in quanto procedura oggettiva.
Funzione, struttura e forma strutturale
Enfasi posta sulla funzione sociale dei rituali e loro valore per la società piuttosto che quello per ogni singolo individuo/membro (implicazioni sia sincroniche che diacroniche dell'analogia organica ereditata da Durkheim e Spencer). C'è un'opposizione tra storico e sociologico, ma essi non sono in conflitto, rappresentano solo due modi diversi di studio. Egli pone l'accento sugli aspetti sincronici (sociologici), cioè sul modo in cui determinate istituzioni «funzionano» all'interno di un sistema sociale, piuttosto che il modo in cui cambiano nel tempo.
La struttura sociale ha a che fare con delle osservazioni, mentre la forma strutturale ha a che fare con la generalizzazione (es. delle conchiglie).
Critiche a Radcliffe-Brown:
- crea confusione usando le espressioni -«forma strutturale» per indicare ciò che gli altri avevano di solito chiamato «struttura sociale» e -«struttura sociale» per intendere quello che gli altri chiamavanmo semplicemente «i dati».
- più grave invece è che R.-B. sembrava affrontasse le cose procedendo a rovescio. Si può giungere a leggi universali e generali solo partendo da premesse logiche, come hanno ripetutamente dimostrato studi strutturalisti come quello di Lévi-Strauss.
Meriti: aveva ragione riguardo agli aspetti di base dell'antropologia. Tutta la ricerca antropologica ha a che fare con le relazioni tra cose. Le diverse interpretazioni (evoluzionisti, strutturalisti, interpretativisti..) si distinguono le une dalle altre solo nel modo in cui si cercano le connessioni, nel tipo di connessioni e nelle analogie che usano allo scopo di spiegarle.
Esempi tratti dall'opera di R.-B: la terminologia di parentela e il totemismo.
Struttura semantica o struttura sociale?
Kroeber: le terminologie di parentela riflettono non la società ma quella che egli chiamava la «psicologia», che si occupava in modo specifico delle proprietà formali del pensiero umano, ed egli anticipò Lévi-Strauss nel considerarle soprattutto come opposizioni binarie.
Rivers: La terminologia di parentela deriva direttamente dai fatti sociali => tende a riflettere fatti sociali antichi e spesso estinti (diversamente da ciò che sosteneva Kroeber). Rivers rappresentava l'ultimo degli evoluzionisti classici benchè egli avesse già annunciato la sua conversione al diffusionismo.
R.-B. rifiutò la pretesa di Kroeber, ma rifiutò anche quella di Rivers (di cui fu allievo), che rappresentasse solo antichi fatti sociali. Per lui la sua importanza consisteva nella relazione con fatti sociali esistenti: la terminologia, ha una connessione con la società contemporanea. La sua enfasi sulla classificazione contemporanea a scapito della speculazione storica è rimasta nell'antropologia fino ad oggi.
Due teorie del totemismo
Il primo contributo di Radcliffe-Brown sulla materia è intitolato La teoria sociologica del totemismo, ove cerca di spiegare in che modo gli aborigeniaustraliani classifichino il mondo -> concorda con Durkheim che i totem svolgono la funzione di esprimere la solidarietà di clan, ma è in disaccordo con lui riguardo alla relazione tra specie e rituale => secondo R.-B. una specie è scelta per rappresentare un gruppo perchè è già importante nel rituale -> il totemismo è uno speciale sviluppo del simbolismo della natura. Egli ne identifica le relazioni, senza però collocarle in un suo quadro di riferimento.
Nel suo secondo saggio sul totemismo, The comparative Method in Social Anthropology si spinge oltre.
R.-B. anticipa Lévi-Strauss nella comparazione di società diverse tra loro e nell'enunciazione di una «legge generale» basata sulla nozione di opposizione strutturale.
Entrambi finiscono col chiedersi: Perchè questa particolare specie? Quale relazione simbolica tra le specie? che relazione di parentela? Perchè sia in Australia sia in Nord-America? E' forse perchè c'è qlk di simile tra gli indigeni che abitano qsti contino esiste un principio generale, o modello, che è impresso nella mente umana? E' forse un esempio conscio di un universale che si colloca a livello inconnscio? Se questo è quello ce pensava Radcliffe-Brown nel 1951, allora era andato ben oltre il suo paradigmastruttural-funzionalista ed era nel campo dello strutturalismo lévistraussiano.
5. L'influenza di Malinowski e di Radcliffe-Brown
Sia Malinowski sia Radcliffe-Brown richiedevano ai loro allievi di essere leali. Insieme persuasero praticamente ogni antropologo del Commonwealth che i vecchi interessi dell’antropologia – riguardanti l’evoluzione e la diffusione – non erano più aree adatte alla ricerca. La maggior parte degli antropologi in Gran Bretagna, e molti in America, seguirono la linea di Radcliffe-Brown. La loro concezione dell'antropologia era che essa dovesse completare i dettagli dell'etnografia; fare generalizzazioni riguardo a particolari società e compararle ad altre società, scoprendo il modo in cui il sistema sociale funziona, senza fare congetture sul passato, eliminando l'enfasi sull'azione individuale e soprattutto, mettendo insieme i pezzi per vedere come gli elementi della struttura sociale funzionassero gli uni in relazione agli altri.
La maggior influenza di Malinowski fu in Gran Bretagna, specialmente nel consolidamento della tradizione dell'«osservazione partecipante». L'influenza di R.-B. era maggiore in Sud Africa e in Australia (diversi antropologi «britannici» erano in realtà sudafricani per nascita ed educazione) ma raggiunse anche l'India. L'antropologia «inglese» sudafricana, grazie a Isaac Schapera e Monica Wilson (allievi di Malinowski) e altri, si sviluppò fino a diventare una importante forza intellettuale. R.-B. ebbe influenza più come insegnante che come scrittore -> aveva una personalità carismatica ed era un brillante conferenziere, che generalmente si esibiva senza l'aiuto di appunti. Curiosamente il contributo effettivo maggiormente associato allo struttural-funzionalismo è un'argomento su cui scrisse poco: la «teoria della discendenza». Evans-Pritchard e altri seguaci di R.-B. sostennero che i gruppi di discendenza patrilineare o matrilineare localizzata formano la base di molte società, in particolar modo in Africa. Tuttavia quest'idea fu vivacemente contestata, sia per mezzo del confronto con un'idea opposta, la «teoria dell'alleanza» di Lévi-Strauss, sia per mezzo di verifiche empiriche.
R.-B. si oppose con gran forza all'essere inserito tra i «funzionalisti» insieme a Malinowski, alla cui teoria dei bisogni biologici e delle risposte culturali si oppose esplicitamente. Tuttavia, in qualche caso, si diede l'etichetta di «funzionalista» anche alla sua opera. Per un certo tempo questa «antropologia funzionalista» divenne una «scuola» nonostante i suoi orpelli scientifici e le relazioni ambivalenti tra i suoi fondatori -> anche se nessuno oggi si dichiara funzionalista, qualcosa di funzionalista resta per quanto riguarda la ricerca sul campo e la comparazione antropologica, nonostante le sfide aperte dagli approcci più recenti.

Capitolo sesto
Le prospettive centrate sull'azione e gli approcci processuali e marxisti
Dagli anni Cinquanta in poi -> tentativi di allontanarel'antropologia dai paradigmi formali e centrati sulla società, specialmente lo struttural-funzionalismo, verso altri più individuali e centrati sull'azione (transazionalismo, scuola di Manchester, derivazioni processuali dello strutturalismo compreso E. Leach). Le idee più antiche sui processi sociali e culturali comprendono le teorie sociologiche di Simmel e Weber, alcune acute osservazioni di Kroeber sui «modelli e processi culturali» e l'influente studio di A. Van Gennep sui «riti di passaggio» (ma anche Leach, Turner -> relazioni tra strutture, processi ed eventi storici; Sahlins, Obeyesekere -> sulla morte del capitano Cook; R. Lee e E. Wilmsen -> sull'economia politica del Kalahari). Nel frattempo una rivoluzione marxista era riuscita a distogliere molti studiosi da interessi funzionalisti e strutturalisti portandoli al marxismo.
Lo status del marxismo in antropologia è tuttavia ambiguo: esso comprende aspetti di molte altre posizioni teoriche: l'evoluzione della storia, il diffusionismo, il funzionalismo, in parte il relativismo ma possiede anche elementi strutturalisti in aree tradizionali come gli studi sulla parentela. Le femministe marxiste si sono distinte nell'equiparare coscienza di classe e coscienza di genere, e il marxismo ha un legame con il poststrutturalismo per via del suo interesse con le relazioni di potere. Sembra a questo punto opportuno collocare il marxismo tra gli approicci processuali, poichè questa è l'associazione più stretta sia dal punto di vista del periodo storico (anni Settanta) che da quello del campo del dibattito.
1. Approcci centrati sull'azione e prospettive processuali
Le radici sociologiche
Georg Simmel: approccio formalista e fortemente teorico, ma dava grande importanza all'individuo. Introdusse l'idea di «effetto reciproco» (che anticipava la teoria di Mauss sul «dono»): il sociale essiste quando due o più persone interagiscono tra loro, e quando il comportamento di uno è visto come risposta al comportamento dell'altro (relazioni diadiche).
Max Weber: derivò alcune sue concezioni da Simmel, e tra i due era il più formalista. Sviluppò la nozione antiempirista di «idealtipo» (gli idealtipi sono necessari a comprendere i singoli eventi in un sistema sociale). L'azione sociale dovrebbe essere l'interesse centrale della sociologia. Nozione di «spirito» dentro la società -> il calvinismo e il capitalismo moderno hanno lo stesso «spirito» => i paesi calvinisti contribuiscono allo sviluppo di economie di tipo capitalista. Le sue idee furono riprese dagli antropologi compresi quelli della scuola di Manchester negli anni Cinquanta, dai transazionalisti e dagli interpretativisti e ancora oggi influenzano l'antropologia.
Le radici antopologiche
All'interno della tradizione boasiana il mutamento sociale e culturale fu oggetto di osservazioni:
Kroeber-> la stabilità della moda dipende dalla stbilità sociopolitica.
Il tradizionalismo ha le sue radici nel funzionalismo di Malinowski:
Firth-> pone l'accento sull'importanza dell'«organizzazione sociale» (ruoli) piuttosto che su quella della «struttura sociale» (posizione occupata dalle persone).
Lewis in disaccordo con Redfield circa le regole normative che governano il comportamento sociale.
Il mutamento sociale finì per essere considerato la norma e le dinamiche sociali un oggetto di studio dotato di dignità propria => apparvero di conseguenza nuove prospettive che si concentravano direttamente sul mutamento. Ma dagli anni Cinquanta gli antropologi iniziarono ad esaminare le lacune presenti nei paradigmi che avevano ereditato, e ad adattarli perchè non fossero in disaccordo con le loro scoperte etnografiche: dalla scuola di Manchester ai dibattiti tra Leach e Friedman o tra Sahlins e Obeysekere.
Il transazionalismo
Friedrik Barth: norvegese formatosi a Cambridge. Ha adottato un approccio che mette al primo posto l'azione sociale, la negoziazione dell'identità e la produzione di valori sociali attraverso la reciprocità e il decision-making. La posizione dei leader dipende dal mantenimento della fedeltà dei seguaci ottenuta attraverso un gioco continuo che oscilla tra conflitto e coalizione. Ha dimostrato di essere un pensatore coerente -> i modelli barthiani si sono rivelati validi specialmente nello studio dell'etnicità e del nazionalismo.
Ladislav Holy: africanista anglocecoslovacco. Erainteressato alla relazione tra modelli folk, regole normative, e la creazione delle rappresentazioni.
Altri transnazionalisti importanti furono Strathern, Boissevain, Bailey e Kapferer: Ognuno di essi ha introdotto nel paradigma la sua personale inclinazione teorica.
Il transnazionalismo quindi non è mai diventato una «scuola di pensiero», ma rimane un potente strumento analitico che è possibile utilizzare in combinazione con altri.
2. La scuola di Manchester
Era composta da un gruppo molto unito di studiosi che si erano formati soprattutto a Oxford, e poi trapiantati a Manchester e in Rhodesia del Nord.
Max Gluckman: forte interesse per il mutamento sociale e per la relazione tra la vita «tribale» e quella «urbana». Intraprese lo studio dell'azione sociale, delle differenze tra regole e comportamento, delle contraddizioni nelle norme sociali, dell'anatomia del conflitto, e dei mezzi per ridurr i conflitti. Esaminò le relazioni tra stabilità e cambiamento, il modo in cui si mantiene l'ordine in società senza Stato, e il ruolo del conflitto nella creazione dell'ordine -> tagliare i legami di fedeltà rafforza l'ordine sociale, la coesione sociale è un risultato dello stesso conflitto.
Victor Turner: Conosciuto per le sue ricerche sul simbolismo e sul rituale degli ndembu, una popolazione dell'odierno Zambia. Idea di «dramma sociale», una concezione derivata dagli studi di Van Gennap sui riti di passaggio. Nel processo rituale, i partecipanti attraversano una fase liminale caratterizzata da quella che Turner chiamò communitas, cioè un campo «non strutturato» della «struttura sociale». In termini strutturali si può considerare come un campo che simultaneamente è una cosa e non loè.
G. e T erano uniti da un interesse per l'Africa centrale, ma mentre G. era rivolto alfunzionalismo del passato, T. si rivolse agli interessi strutturalisti per le relazioni sistematiche tra gli aspetti simbolici della cultura. ella scuola era presente anche il marxismo (G. e altri avevano dichiarate simpatie comuniste).
3. Gli approcci marxisti
I concetti chiave dell'antropologia marxista
Il concetto più importante dell'antropologia marxista è quello di «modo di produzione».
Barry Hindess e Paul Hirst definiscono un modo di produzione come una «combinazione articolata di relazioni e forze di produzione». Il «plusvalore», secondo il loro punto di vista, si trova in tutte le società, ma differenti società «se ne appropriano» in modi diversi. Le «relazioni e forze di produzione non possono essere definite indipendentemente dal modo di produzione in cui sono combinate».
Dibattito: esiste un modo di produzione «della caccia e raccolta»?
Su un altro fronte, Marx operò una distinzione tra base o struttura e la sovrastruttura (che consiste in cose più lontane dalla produzione, come il rituale e le credenze religiose) =>può certamente esistere una connessione tra produzione e religione, ma non è così diretta come quella che per esempio esiste tra produzione e politica. La concezione marxista di sovrastruttura somigliava a quella di Steward di «cultura totale». Un'ulteriore distinzione comune nell'antropologia marxista è quella tra «centro» e «periferia» -> la periferia è uno dei luoghi coinvolti da decisioni prese al centro (es: produzione dei contadini per la distribuzione e il commercio con il centro). Negli anni Settanta e Ottanta crebbe l'interesse per la riproduzione della società attraverso processi che coinvolgevano la tecnologia e il lavoro e per l'articolazione di differenti modi di produzione.
Lo strutturalismo marxista di Godelier
Mentre gli antropologi politici non marxisti hanno spesso sostenuto l'esistenza di una linea evolutiva, i marxisti hanno sempre enfatizzato l'importanza delle relazioni economiche nella determinazione delle strutture politiche. I marxisti strutturali consideravano fondamentale la sovrastruttura.
M. Godelier: Fu il membro più importante di questa scuola. Il suo approccio derivava, oltre che dl marxismo, dallo strutturalismo, benchè il suo principale interesse negli anni Settanta fosse la descrizione e l'analisi dei modi di produzione. Lo strutturalismo marxista di G. si basava anche sull'ecologia culturale (in comune con essa aveva la ricerca della comprensione delle relazioni tra ambiente, tecnologia e società). L'approccio di G. aveva anche molto in comune con il funzionalismo (entrambi consideravano le qualità sincroniche e funzionali del rituale, dell'organizzazione del lignaggio, ..).
Persino gli antropologi economici furono influenzati da questa tendenza.
M. Sahlins: ripudiò sucessivamente la tradizione dello strutturalismo marxista perchè dava troppo poca enfasi alla cultura e di conseguenza possedeva poca capacità analitica se voleva spiegare il funzionamento delle società precapitalistiche.
M. Harris: Il suo «materialismo culturale», etichettato poi come «materialismo volgare», cercava di ridurre la cultura a forze puramente materiali. H. sosteneva che persino i tabu religiosi, come quello ce vietava di cibarsi delle vacce in India, avevano un fondamento materiale -> i limiti ecologici prevalgono su tutti gli altri, e la cultura è essenzialmente un prodotto di forze materiali.
Il marxismo «del lavoro e della terra» di Meillassoux
C. Meillassoux: era critico nei confronti dello strutturalismo di Lévi-Strauss. Distingue tra società in cui la terra è oggetto del lavoro e società in cui è strumento di lavoro. Per M. è più importante il controllo sui mezzi di riproduzione (cioè sulle donne), che non il controllo sui mezzi di riproduzione per sé =>critiche: egli sembra confondere la nozione di riproduzione biologica con quella di riproduzione sociale; inoltre ironicamente sembra considerare le donne soprattutto come riproduttrici di forza lavoro piuttosto che come lavoratrici o produttrici. Il suo marxismo contiene forti elementi funzionalisti e si basa ampiamente sulla tecnologia in quanto modo di produzione determinante -> il capitalismo non distrugge i modi di produzione precapitalisti, ma li mantiene piuttosto in «articolazione» con il modo di produzione capitalistico.
L'economia politica e la teoria della globalizzazione (una terza scuola di pensiero, tuttora influente)
A differenza delle altre scuole marxiste, quella dell'economia politica mette l'accento sulla storia. Si oppone anche alla concezione di «articolazione» di Meillassoux.
I. Wallerstein: concezione di un «sistema mondo» che lega le economie delle società più piccole alle potenti economie capitalistiche dell'Occidente e dell'Estremo Oriente => relazioni diseguali -> le une traggono benefici a spese delle altre. Relazione tra «globale» e «locale» è diventata un interesse diffuso anche all'interno dell'antropologia -> problema: il punto di vista dell'economia è lontano dalle persone che dovrebbero esserne l'oggetto. Non c'è dubbio che il sistema mondo capitalistico abbia avuto un impatto globale negli ultimi secoli e che tale impatto sta aumentando.
In termini marxisti, o evoluzionisti, il sistema capitalista rappresenta uno stadio evolutivo nel quale un tipo di società domina le altre.
Dibattito: sarebbe più utile prendere in considerazione anche l'impatto dei legami commerciali preistorici?
4. Tre dibattiti etnografici
Friedman contro Leach: l'economia politica dei kachin
Edmund Leach: era un intellettuale eccentrico. Dopo aver studiato ingegneria, fu allievo di R. Firth e svolse ricerca sul campo in Sri Lanka, in Birmania e in altri paesi. Tuttavia, come Turner, egli si espresse in favore di un approccio misto che riuniva processo e struttura in quanto costituenti della vita sociale. Pose l'attenzione sulle diverse sistemazioni strutturali nei sistemi di parentela e politici di due gruppi di clan strettamente connessi (quello gumlao: sistema egalitario, cioè il matrimonio avviene secondo un criterio circolare; quello gumsa: ipogamico, in cui cioè le donne si sposano verso il basso della scala sociale; e un terzo sistema influiva, quello degli shan: ipergamico, cioè le donne si sposano verso l'alto). ciò che gli interessava non era il comportamento medio kachin, ma il rapporto tra il comportamento kachin reale e ideale. Tuttavia il suo intento non fu ben compreso.
Jonathan Friedman: nel suo modello, della più semplice nozione marxista di base e sovrastruttura, si ha un più complesso modello a quattro elementi: l'ecosistema, che limita le forze produttive, che limitano le forze di produzione, che a loro volta dominano sia sull'ecosistema che sulla sovrastruttura. Relazioni tra economia, parentela e religione-> il capo del villaggio: se surplus produttivo => più festeggiamenti e più mogli => acquisizione di prestigio e nascita di figli -> conduce a maggiori prestazioni e dunque a maggior surplus. L'egalitario sistema gumlao si evolve in un tipo gumsa attraverso una combinazione sequenziale di fattori ambientali, economici, parentali e religiosi. Tuttavia Leach era scettico sulla lettura marxista che Friedman aveva fatto del suo lavoro.
Wilmsen contro Lee: storia ed etnografia del Kalahari
Edwin Wilmsen: archeologo e antropologo influenzato dal marxismo.
Richard Lee: antropologo ecologico e marxista
Il vero problema era: quando finisce la «vita tradizionale» e inizia il «mutamento sociale»?
Lee dà per scontata la caccia e raccolta come modo di vita di base e adattivo, un assunto che suona come un anatema nei confronti dei revisionisti più estremi. Dà anche per scontato il fatto che le società boscimane siano rilevanti unità di analisi.
Wilmsen sostiene che l'economia politica del Kalahari è la migliore unità di analisi. L'apparente isolamento dei boscimani osservati da Lee e da altri, sostiene, è un prodotto del dominio dei bianchi sull'Africa meridionale.
I tradizionalisti come Lee pongono l'accento sulla continuità e l'integrità culturale dei boscimani, eredi di un antica conoscenza ambientale indigena, di tecniche di caccia, pratiche di parentela, credenze religiose, etc.
I revisionisti come Wilmsen riducono l'importanza di questi aspetti in favore di una maggiore preoccupazione per l'integrazione delle strutture politiche ed economiche dell'Africa meridionale considerate nel loro complesso.
Entrambe le parti rivendicano una discendenza intellettuale da Marx.
Obeysekere contro Sahlins: la morte del capitano Cook
Sahlins sostiene che il capitano Cook fu vittima di un equivoco sulla sua identità e di un sacrificio rituale.
Obeysekere, antropologo della religione originario dello Sri Lanka rifiuta il ragionamento di Sahlins in quanto è un mito imperialista occidentale. Egli sostiene che gli hawaiani trattarono Cook come un capo, non come un dio. Cook era un «civilizzatore» che si trasformò in un «selvaggio» quando la sua spedizione fallì.
Come Sahlins, Obeysekere è interessato alle relazioni tra cultura e processi storici, ma il centro d'attenzione è completamente differente.
La posta in palio in questa discussione non è semplicemente il fatto storico, nè il modo in cui interpretare le testimonianze. Il punto difficile di tutto il discorso è doppio: ha a che fare in primoluogo con l'opposizione tra «noi» e «loro», che O. sta cercando di spezzare, e in secondo luogo con la questione di chi possa parlare a nome di chi. E' O. una «voce indigena» legittima? In effetti questo è il dibattito antropologico di sempre: Può l'antropologia fornire una comprensione oggettiva delle altre culture e della loro azione sociale, o è forse destinata per sempre a un'implicita soggettività che dovrebbe essere resa esplicita?

Capitolo settimo
Dal relativismo alla scienza cognitiva
Melford Spiro [1992] uno dei numerosi critici del relativismo culturale contemporaneo, ne definisce tre tipi:
1) Il relativismo descrittivo: “La cultura regola il modo in cui gli uomini percepiscono il mondo” -> un corollario di quest'affermazione è che la variabilità culturale produrrà una differente comprensione culturale e psicologica a seconda della popolazione.
2) Il relativismo normativo: si spinge un passo oltre. Non esistono criteri universali di giudizio tra le culture.
-Il relativismo cognitivo riguarda le proposizioni descrittive: in termini di verità e falsità, tutte le asserzioni sul mondo sono culturalmente contingenti, e di conseguenza, asserzioni non culturalmente contingenti sono semplicemente impossibili.
-Il relativismo morale ha a che fare con le proposizioni valutative, esso assume che i giudizi etici ed estetici devono essere formulati nei termini di valori culturali specifici piuttosto che universali.
3) Il relativismo epistemologico: assume come suo punto d'avvio la più forte versione possibile del relativismo descrittivo. Esso combina una posizione estrema di determinismo culturale con la concezione che la diversità culturale sia praticamente illimitata. (è importante distinguere tra determinismo culturale generico e particolare). I relativisti epistemologici sostengono che la natura e la mente umana sono culturalmente variabili => sia le generalizzazioni sulla cultura sia le teorie generali della cultura sono ingannevoli.
Franz Boas fu il primo grande relativista descrittivo in antropologia; Lee Whorf, suo seguace, abbracciò un relativismo cognitivo; Clifford Geertz, un relativismo epistemologico -> antropologia contemporanea.
1. Franz Boas e la nascita del relativismo culturale
Nato in Westfalia nel 1858. conseguì il dottorato di ricerca a Kiel nel 1881 -> si dice ce la sua ricerca di dottorato, che verteva sul colore dell'acqua, lo portò direttamente ad interessarsi alla soggettività della percezione. Giunse pertanto a comprendere l'importanza della cultura come forza determinante della percezione, e di conseguenza rifiutò l'implicito determinismo ambientale di partenza.
Insegnò alla Columbia University di New York e il suo dipartimento divenne il centro della ricerca antropologica negli Stati Uniti. Si oppose all'evoluzionismo in base all'assunto che il compito dell'antropologo dovrebbe consistere nell'acquisire un'esperienza di prima mano sulle altre culture e non nello speculare sul passato. Si oppose anche all'idea della superiorità razziale e culturale, di matrice evoluzionista -> In The Mind of Primitive Man sostiene che la «razza bianca» non è intellettualmente superiore, ma solo più avvantaggiata rispetto alle altre «razze». Rifiuta completamente ogni fondamento della cultura su base biologica -> popoli diversi sono primitivi o avanzati a seconda di quello che si prende in considerazione => è inutile inserire un'intera cultura nelle categorie di «primitivo» o «civilizzato». Egli scrisse molto e in un inglese molto chiaro. Scrisse pochi libri, preferendo i brevi articoli (più di 600). Morì di collasso il 21 dicembre 1942, durante un pranzo ufficiale tenuto in suo onore, mentre pronunciava le sue ultime parole: «ho una nuova teoria della razza». Morì tra le braccia della persona seduta accanto a lui, il grande strutturalista francese Claude Lévi-Strauss.
2. Cultura e personalità
Quello per la cultura è stato l'interesse astratto a cui l'antropologia americana è stata fedele da Boas a Geertz, ma ironicamente, la definizione più conosciuta è quella di Tylor:
-> la cultura è «il complesso unitario che include la conoscenza, la credenza, l'arte, lamorale, le leggi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro della società».
Ruth Benedict: Fu la prospettiva più importante che emerse nell'ambito antropologico. Nel suo Modelli di cultura (1934) è evidente l'influenza di Boas, ma diede maggior enfasi agli aspetti psicologici. Benedict sosteneva che, proprio come la poesia avrebbe dovuto essere analizzata nel suo contesto culturale, anche gli aspetti della cultura si sarebbero dovuti considerare alla luce della cultura nella sua interezza. Nel suo saggio B. compara 3 popoli: gli zũni del New Mexico (studiati anche da Ruth Bunzel, Frank Cushing e da altri), i kwakiutl dell'Isola di Vancouver (studiati da Boas), e i dobu della Melanesia. Giunse alla conclusione che ciò che è un comportamento normale in una cultura non lo è in un'altra. Persino gli stati psicologici sono culturalmente determinanti.
M. Mead: una quasi coetanea di Benedict che studiava negli anni Venti alla Columbia University, e che pubbicò i suoi primi lavori sul tema addirittura prima di lei.
Clyde Kluckhohn altra figura ben conosciuta, applicò le idee di Benedict sugli aspetti psicologici della cultura nelle sue etnografie sui navajo.
Negli ultimi vent'anni la loro opera è stata messa sotto tiro, specialmente quella di Mead sulla presunta libertà sessuale delle adolescenti di Samoa. Mead aveva rilevato che a Samoa il sesso prematrimoniale senza legame affettivo era considerato normale, che l'adolescenza non era segnata da stress emotivo, e che la ribellione adolescenziale non esisteva, e che quindi essa non è il risultato necessario dei fatti biologici della pubertà. Benchè i suoi scritti fossero meno espliciti di quelli di Benedict riguardo alla «personalità», nondimeno Mead divenne la rappresentante più famosa della scuola di «cultura e personalità». La sua opera segnò il punto d'origine dell'antropologia psicologica così come la conosciamo oggi.
3. Pensiero primitivo?
Le persone che vivono in culture diverse pensano in modo diverso? E se così, alcuni modi di pensare sono più primitivi di altri? Può il pensiero primitivo essere equiparato al «pensiero razionale», o è diverso?
L'antirelativismo di Lévy-Bruhl
Levy-Bruhl: filosofo delle scienze sociali, francese. Presunta assenza di una separazione separazione tra causa e effetto. Scrisse sei libri sul pensiero primitivo: divise il pensiero umano in due sole categorie, quella di «mentalità primitiva» e quella di «mentalità superiore». Il «primitivo» pensa a sufficienza in modo logico nelle situazioni quotidiane, ma non è in grado di pensare logicamente in astratto. Secondo lui il «pensiero primitivo» è diverso dal pensiero logico anche perché è il prodotto di un pensiero collettivo, non individuale. Allo stesso modo di Durkheim e Mauss, L.-B. Si oppose all'idea che si potesse ridurre l'azione collettiva alle azioni di un certo numero di individui, o tutta una cultura alle idee di ciascun individuo che ne fosse membro.
Negli ultimi anni della sua vita subì un'importante trasformazione -> Egli non abbandonò la concezione della mentalità primitiva, ma cambiò la sua definizione in modo significativo:
Non è la logica a essere diversa, ma la conoscenza => le culture non differiscono per genere, ma solo per grado.
Il relativismo linguistico di Whorf
Benjamin Lee Whorf: un ingegnere chimico e antropologo linguistico dilettante appartenente alla tradizione boasiana. Prima di Boas si pensava che le lingue fossero tutte molto simili. I boasiani dimostrarono che questo non è vero. Le lingue inuit e amerinde sono molto più complesse del greco o del latino. Whorf ipotizzò che le persone che parlano tali lingue hanno modi diversi di guardare il mondo rispetto a quelle che parlano lingue più semplici come l'inglese.
L'«ipotesi Sapir-Whorf» suggerisce che non ci sono due sole forme di pensiero, la «nostra» e la «loro», ma una molteplicità di forme, ciascuna associata alla lingua di chi pensa in tale forma; anche se fu incline a parare di due esempi principali che possono essere considerati fenomeni tipicidi modelli più ampi: i pensieri come sono espressi nella lingua inglese (più astratti) e quelli espressi nelle lingue degli indiani americani (più concreti).
Somiglianze e differenze tra L.-B e W.: entrambi compresero l'effettiva complessità della grammatica delle lingue dei cosiddetti popoli «primitivi». Il punto in cui sono significativamente diverse è la loro interpretazione di tale fenomeno. Per L.-B. il modo di pensare «primitivo» è assenza di pensiero astratto, mentre per W. proprio l'alto grado di sottigliezza linguistica che le caratterizza, implica abilità nel mettere insieme i morfemi e dunque presenza di pensiero astratto. Inoltre, secondo L.-B. il linguaggio riflette il pensiero, mentre secondo W. i pensieri riflettono le categorie linguistiche preesistenti=> gli uomini pensano solo attraverso queste categorie e mai indipendentemente da esse. W. Però si spinse ancora più in là: sosteneva che la grammatica hopi è più adatta a esprimere idee scientifiche dell'inglese-> l'inglese suppone due forme cosmiche (spazio e tempo); diversamente la metafisica hopi suppone due forme cosmiche abbastanza differenti: oggettiva e soggettiva. La prima comprende l'universo fisico e anche il passto e il presente, mentre la seconda comprende ciò che esiste nella mente, inclusa la Mente dell'Universo stessa, e anche quello che in inglese caratterizzerebbe il tempo futuro di un verbo.
4. Le critiche a Whorf
Il whorfismo è la risposta?
E' facile confutare la sua semplicistica nozione che il linguaggio determini il pensiero
-> popoli con una cultura simile parlano a volte lingue molto diverse (es. basco, francese e spagnolo)
-> le idee di W. Pongono un'enfasi eccessiva sulla differenza linguistica -> al contrario, dagli anni Sessanta i linguisti hanno avuto la tendenza ad enfatizzare gli aspetti universali del linguaggio.
->inoltre, che prove abbiamo che il linguaggio determini la reltà? Le prove di W. sono interamente deduttive.
Il dibattito sulla razionalità
Sperber: classifica le tradizioni relativiste come o «intellettualiste» o «simboliste». Gli intellettualisti sostengono che le credenze apparentemente irrazionali non sono dopotutto così irrazionali; piuttosto sono semplicemente errate. I simbolisti invece sostengono che i miti, i rituali, e così via sono irrazionali solo a un livello letterale => in quanto metafore dei valori morali, o di qualunque altra cosa, essi possono essere perfettamente razionali.
Gellner: fiero antirelativista. Sostiene che il relativismo e l'esistenza di universali umani non sono incompatibili. Egli definisce il relativismo come «una dottrina nella teoria della conoscenza che afferma che non esiste una sola verità» -> prende come bersaglio le affermazioni sia del relativismo cognitivo sia quello morale.
Ciò che hanno fatto S. e G è stato dimostrare l'irrilevanza del relativismo. Il fatto che altre culture vedano il mondo in modo diverso dal proprio, non è, in se stesso, sufficiente per considerare tutte le culture estranee alla propria, «irrazionali» o esprimenti valide «verità» alternative.
5. Verso la scienza cognitiva
La semantica strutturale
Nessun linguaggio classifica ogni cosa. I linguaggi costruiscono il senso costruendo delle strutture, e le culture fanno la stessa cosa.
L'antropologia cognitiva
Kenneth L. Pike: assunse l'idea che ci fosse una relazione tra i suoni (il livello fonetico) e le unità di suono dotate di significato (il livello fonemico) e postulò una relazione più generale tra ogni genere di unità (livello etico) e ogni genere di unità dotata di significato (livello emico). L'etico è il livello degli universali, l'emico è il livello dei contrasti significativi dentro una lingua o una cultura particolari.
Si possono spiegare le distinzioni emiche nei termini di vari quadri o griglie (es: in medicina le malattie, in musica la scala cromatica, l'albero genealogico). Alcuni relativisti radicali hanno messo in dubbio l'universalità di tali griglie.
In seguito al lavoro di P., che ha aperto una strada, gli antropologi hanno tentato di formalizzare la relazione tra le categorie di emico e di etico. Sono state sviluppate e dibattute complesse metodologie -> in parecchi rivolsero la loro attenzione alla parentela. Le strutture emiche sono probabilmente più visibili nelle terminologie di relazione che in ogni altro dominio culturale.
L'etnoscienza
Esistono due filoni abbastanza differenti del pensiero relativista in antropologia. Per comodità essi possono essere etichettati come la prospettiva modernista e quella postmodernista.
Il filone modernista vivo al giorno d'oggi è l'apice della tradizione whorfiana. -> relazione tra scienza occidentale contemporanea e le visioni del mondo indigeno che essi studiavano. Essi chiamarono il loro campo «etnoscienza». Al giorno d'oggi, tuttavia, «etnoscienza» tende a designare più una specializzazione che una prospettiva teorica (specializzazione in etnobotanica, etnomedicina, etnozoologia..).
Charles Frake: è il principale proponente dell'etnoscienza. Tiene conto dell'azione sociale oltre ce delle categorie statiche del discorso etnoscientifico-> entrano in gioco strategie e decision-making.
Ai suoi albori l'etnoscienza era strettamente legata alla linguistica, ma recentemente si è gradualmente spostata verso la psicologia cognitiva e oggi minaccia di legarsi a interessi non troppo lontani da quelli della scuola di «cultura e personalità» a cui per lungo tempo è stata associata.
Un'approccio che riconosce la validità della scienza ma non di meno riconosce anche l'esistenza di determinanti sociali e culturali è la prospettiva prevalente nell'antropologia medica: scopo di illustrare la costruzione culturale, oltre che biologica, dello stress, del dolore, dei disturbi mentali e dell'epidemiologia -> la diagnosi può dunque variare in base alla cultura prevalente => la cultura è dappertutto – persino nei «rituali» che i chirurghi eseguono in sala operatoria!

Capitolo ottavo
Lo strutturalismo: dalla linguistica all'antropologia
Il termine «strutturalismo» si riferisce a quelle prospettive teoriche che mettono in primo piano la forma rispetto alla sostanza. Ci sono alcune somiglianze tra lo strutturalismo e lo struttural-funzionalismo: entrambi si interessano alle relazioni tra cose. Ci sono tuttavia delle differenze importanti:
-Lo struttural-funzionalismo trova l'ordine all'interno delle relazioni sociali.
-Gli strutturalisti invece sono in genere interessati alle strutture di pensiero tanto quanto lo sono alle strutture sociali.
-Lo struttural-funzionalismo di R.-B. Si basava principalmente sul ragionamento induttivo (si parte dai dati).
-Gli strutturalisti spesso utilizzano un metodo che è in primo luogo deduttivo (basato su certe premesse)
-> essi preferiscono prima stabilire le possibilità logiche, e poi vedere come la «realtà» vi si adatta. -> per un vero strutturalista non c'è altra realtà eccetto le relazioni tra cose.
Anche se Lévi-Strauss è il più famoso e il più tipico tra i pensatori strutturalisti, il pensiero srutturalista ha un campo d'applicazione più esteso: se lo strutturalismo francese di L-S. È caratterizzato da un interesse per la struttura di tutte le possibili strutture, lo strutturalismo olandese si concentra principalmente sull'analisi strutturale regionale, quello britannico pone maggiormente l'attenzione a società particolari.
1. Saussure e la linguistica strutturale
Ferdinand de Saussure: linguista svizzero, è probabilmente lo strutturalista più importante. La teoria per cui è conosciuto non è tuttavia quella sulla quale egli scrisse.
Saussure e il suo «Corso»
In vita egli fu soprattutto conosciuto per i suoi studi comparativi e storici sui sistemi vocalici indoeuropei. Alcuni suoi lavori sembrano preannunciare lo strutturalismo. Come il suo quasi contemporaneo Durkheim, anch'egli si collocava simultaneamente nel campo diacronico e in quello sincronico – in effetti inventò questa distinzione.
Nelle sue lezioni anticipò Boas, Malinowski e Radcliffe-Brown nel porre l'accento sugli elementi sincronici e relazionali dell'oggetto studiato.
Corso di linguistica generale: Questo libro (insieme a una parte dell'opera di Sapir) segna la prima messa in rilievo dell'analisi strutturale e sincronica nello studio del linguaggio. Esso rappresenta anche la fondazione della semiologia o semiotica (lo studio del significato veicolato dai «segni») e l'alba dello strutturalismo. S. nel Corso si occupò esplicitamente del linguaggio naturale. -> parla in modo sprezzante dell'uso della linguistica per ricostruire, per esempio, la storia razziale e il corredo psicologico dei gruppi etnici.
Quattro distinzioni chiave
Introdusse un certo numero di distinzioni oggi di uso comune sia in linguistica sia nelle scienze sociali:
1) diacronico e sincronico: La distinzione tra studio diacronico (la lingua muta nel tempo) e studio sincronico (la lingua in un particolare momento) della lingua fu il punto in cui egli ruppe in modo più significativo con i suoi contemporanei. La distinzione tra sincronico e diacronico, per i veri saussuriani, è assoluta.
2) langue («lingua» nel senso della struttura linguistica) e parole («lingua» nel senso delle espressioni).
3) sintagmatico (cioè quelle presenti all'interno di una frase) e associativo (paradigmatico),
4) significante (la parola o simbolo che stanno per qualche cosa) e significato (il concetto).
Insieme, significante e significato, costituiscono ciò che S. chiamò il segno, la cui caratteristica più importante è quella dell'«arbitrarietà» => non esiste nessuna relazione naturale tra le proprietà fonologiche di una parola e il suo significato. La composizione fonetica della parola, in ogni caso, dipende da quale lingua io scelga di parlare. In modo simile, gli elementi simbolici della cultura traggono il loro significato in conformità con quella data cultura e al contesto.
Dopo Saussure
Dopo S. altri linguisti svilupparono ulteriori idee seguendo le linee da lui suggerite (il centro di questa attività era Praga). Questi linguisti funzionalisti svilupparono complesse teorie delle relazioni tra le strutture fonologiche. Importante è la nozione di «tratti distintivi» che sono analoghe a quelli che gli antropologi chiamano opposizioni strutturali o binarie. I punti fondamentali di queste teorie: si può definire la differenza tra due suoni in una particolare lingua in base alla presenza o all'assenza di certi tratti (es: p-b, t-d, k-g). Ciò che in ogni coppia distingue il primo elemento dal secondo è l'assenza di sonorità e la posizione nella bocca.
Il riconoscimento della natura binaria della distinzione sorda-sonora, più il riconoscimento del fatto che tale distinzione è inserita in un sistema più ampio, è tutto ciò di cui si occupa lo strutturalismo.I lavori di Lévi-Strauss sulla parentela, il simbolismo, l mitologia, e così via, si basano tutti su principi simili. Alcuni dei primi capitoli di Anthropologia strutturale portano il segno di una forte influenza della scuola di Praga.
2. Lévi-Strauss e l'antropologia strutturale
Lévi-Strauss: figlio di un artista, è nato nel 1908. Diventò un apprezzato musicista dilettante, ma la sua formazione accademica fu in diritto e in filosofia, e personalmente riconosce tra le sue influenze la geologia, la psicologia freudiana e la teoria marxista. Nel 1934 egli lasciò la Francia e si trasferì in Brasile per insegnare sociologia e finì con lo svolgre una ricerca etnografica sul campo tra i bororo.
Per Lévi-Strauss l'essenza della cultura è la struttura: le culture particolari esistono come parte di un sistema che comprende tutti i sistemi culturali possibili.
E' bene ricordare ce una parte consistente del suo pensiero discende direttamente dalla tradizione di Durkheim e Mauss (specialmente da quest'ultimo, il cui Saggio sul dono influenzò le sue idee sulla parentela come scambio matrimoniale). Ma era aperto anche a concezioni antropologiche provenienti da altri paesi, specialmente a quella americana di Boas (che morì tra le sue braccia).
Pubblicazioni: Le strutture elementari della parentela (che rappresenta l'antropologia strutturalista nella sua versione più estrema), Mito e significato, Tristi tropici, Il totemismo oggi, Il pensiero selvaggio, e altre.
Lo strutturalismo: modelli e idee
Nel suo senso più ampio lo strutturalismo ha a che fare con gli schemi: i che modo delle cose che a prima vista sembrano non avere alcun legame siano in realtà parte di un sistema composto daparti interconnesse. Nella teoria strutturalista il tutto è visto come maggiore della somma delle sue parti (classificate ricorrendo all'idea di tratti distintivi o opposizioni binarie). La presenza o assenza di un particolare tratto, nella cultura come nel linguaggio, può spiegare molte cose. Lo strutturalismo, nel suo più «puro» senso lévistraussiano condivide questa concezione con la linguistica strutturale. Il tratto caratteristico del contributo di Lévi-Strauss è stato la ricerca della struttura di tutte le strutture possibili. Nella sua concezione è importante che l'antropologo abbia una visione della società in grado di ammettere al suo interno ogni possibilità logica.
E' possibile illustrare il suo contributo ricorrendo a 3 esempi classici:
1) Le strutture elementari della parentela
La teoria dell'alleanza (in opposizione alla teoria della discendenza): Cercò di spiegare i gruppi di discendenza non come la base della società ma come elementi di relazione di scambio matrimoniale che esistevano tra i gruppi. Secondo L-S il tabu dell'incesto è l'essenza della cultura, e -> egli ha praticamente equiparato questo tabu alle regole che governano il matrimonio. Ha definito le relazioni fra tutti i sistemi di parentela, in parte esplorando la natura dei strutture «elementari» (cioè quelle che hanno regole di matrimonio positive) e in parte ricorrendo al modo in cui i dettagli etnografici di strutture «complesse» (che hanno regole di matrimonio negative) possono essere viste come un riflesso di principi «elementari» della parentela.
S'interessa alla cultura in quanto astrazione – non all'effettivo comportamento delle persone, ma al modello ideale a cui esso si avvicina.
Essenza della sua teoria: nella sua classificazione dei sistemi di parentela le relazioni tra discendenza e residenza e i cicli di scambio sono piuttosto diversi -> le strutture elementari includono dei sistemi di scambio diretto, in cui un gruppo può «prendere» mogli dallo stesso gruppo a cui le «dà». Il tipo più semplice è quello che comporta il matrimonio tra l'uomo e la figlia del fratello di sua madre o la figlia della sorella di suo padre. Tuttavia, come ha ricordato un suo critico, strutture del genere rimangono rare dal punto di vista etnografico, se non inesistenti.
Le strutture complesse comprendono quei sistemi che sono tipici dell'Europa, del Giappone, della maggior parte dell'Africa, dove non si trovano simili modelli «elementari», ma ognuno sposa chiunque, sia o no un parente stretto (secondo regole di matrimonio negative). Anche se pochi, in Gran Bretagna o in Nordamerica, accettarono l'enfasi posta sulle strutture universali della parentela presenti nella mente umana, il fondamento empirico della sua teoria fu ampiamente dibattuto.
Come le relazioni tra consonanti possono essere definite in base alla loro forza e intensità, relazioni simili tra gli stati delle sostanze alimentari e tra i modi di cottura possono essere definite in base al grado di trasformazione e di intervento nella cultura:
2) Il triangolo culinario
Il ragionamento è complesso ma interessante. Per quanto riguarda i mezzi impiegati: l'arrostimento e l'affumicatura sono processi «naturali», mentre la bollitura è «culturale». Per quanto riguarda i fini: l'arrostimento e la bollitura sono naturali, mentre l'affumicatura è culturale. Bollitura (conserva i succhi) e l'arrostimento (distrugge un po' della carne -> associato ad un'alto status sociale) sono in contrasto. -> risultati confusi e a volte ridicoli.
Leach ha analizzato nello stesso modo aspetti del costume e del simbolismo dei colori, ma con una differenza trai due ragionamenti: quello di L-S si propone di avere un'applicazione universale, mentre quello di L. è sia comparativo sia culturalmente specifico. In Occidente le spose usano indossare abito bianco, mentre le vedove l'abito nero. Le regole culturali sono differenti, benché in ciascun caso il colore simboleggi un'attività (diverso è il caso dei preti => bianco non significa necessariamente vita e nero morte). Indossare abiti neri o bianchi non è solo un fattore che dipende dalla cultura; è anche dipendente da attività significative che sono molto specifiche dal punto di vista culturale. E' in questo preciso punto ce lo strutturalismo britannico, ce enfatizza e diversità culturali oltre che tratti transculturalmente comuni delle strutture sociali e simboliche, si separa dallo strutturalismo lévistraussiano e dalla sua enfasi sugli universali culturali incorporati nell'unità psichica del genere umano.
3) Il mito di Edipo
L-S tenta di spiegare la complessità del mito di Edipo con un semplice diagramma.
Essenza della sua teoria: i miti sono costituiti da elementi noti come «mitemi» (per analogia con i fonemi), che creatori di miti combinano e ricombinano per creare significato, spesso inconsciamente. I miti non raccontano semplicemente delle storie; essi esprimono delle verità simboliche. A volte proprie di specifiche culture o aree culturali, a volte universali. In ogni racconto essi possono essere letti diacronicamente o sincronicamente. L'analisi dei miti ha il potenziale per fornire elementi che permettono di comprendere altri aspetti della cultura ed è stata utilizzata anche nell'analisi dei sogni e delle sequenze che li compongono.
3. Lo strutturalismo e le tradizioni nazionali dell'antropologia
E' facile considerare L-S lo strutturalista per antonomasia e i suoi interessi universalistici il miglior esempio di teoria strutturalista. Molti però non hanno accettato l'enfasi che egli pone sull'unità psichica, e privilegiano dei centri di attenzione regionali o specifici della cultura. Gli strutturalisti olandesi utilizzarono il metodo di L-S e replicarono i suoi studi sulla mitologia e sul simbolismo, generalmente all'interno di un quadro regionale.
Mentre l'approccio di L-S si basa su un ragionamento che procede dal generale allo specifico, gli strutturalisti britannici hanno avuto la tendenza a lavorare nella direzione opposta->in disaccordo con la sua metodologia.
La tradizione britannica e quella olandese sono rimaste gli esempi principali dello strutturalismo, rispettivamente, della sua versione regionale e di quella che mette l'accento sulla cultura.
Anche E. Leach e M. Shalins hanno applicato un'approccio strutturalista allo studio delle trasformazioni sociali, dando vita a teorie della trasformazione sociale derivate dal processualismo e dall'antropologia marxista del periodo compreso tra gli anni '50 e '80.
Louis Dumont: Nel frattempo in Francia, un'allievo di Mauss e collega di Evans-Pritchard sviluppò una comprensione della gerarchia sociale in India.
Negli stati Uniti gli studi di etnoscienza e di antropologia cognitiva si svilupparono grazie all'interesse per gli universali umani, i modelli linguistici e le strutture semantiche specifiche a ogni cultura, e quest'interesse aveva dei parallelismi con lo «strutturalismo» vero e proprio. Lo stesso L-S ha spesso elogiato gli americani collocati fuori dalla tradizione strutturalista per il loro contributo alle sue teorie.
L-S e Dumont sono stati delle figure chiave, ma lo sono stati anche, per esempio, i teorici marxisti come M. Godelier e C Meillassoux.

Capitolo nono
Poststrutturalisti, femministe e (altri) battitori liberi
Hanno in comune il desiderio di muoversi in direzione di un comprensione più libera, e tuttavia più complessa, delle relazioni tra cultura e azione sociale. Poststrutturalisti, che hanno svolto la loro azione al di fuori dell'antropologia sociale (in filosofia, critica letteraria, storia e sociologia) hanno presentato alcune critiche a L-S e ad altri autori dichiaratamente strutturalisti. Allo stesso tempo i poststrutturalisti hanno indicato la strada per la spiegazione dell'azione, per l'indagine accurata del potere, e per la decostruzione di colui che scrive in quanto creatore di discorsi => sfiora gli interessi tipici dei transazionalisti, dei marxisti, delle femministe e dei postmodernisti.
Il femminismo ha le sue radici principali nelle questioni reali, opposte a quelle teoriche, dei ruoli sessuali e del simbolismo del genere. Negli ultimi venti anni esso ha acquisito lo status di paradigma teorico non solo nell'area degli studi di genere, ma anche in tutta l'antropologia. Si è mosso da un interesse che metteva al centro le donne e la subordinazione delle donne per sé a un commento più generale sulle relazioni di potere, le associazioni simboliche e le altre sfaccettature della società, oltre che a un discorso su questioni come la riflessività, il genere dell'etnografo, e quindi la posizione dell'etnografo nella ricerca sul campo. Anch'esso ha quindi stretti legami con molte cose presenti nell'agenda postmoderna, benché non tutte le femministe affermino di essere postmoderniste né tutte le postmoderniste siano femministe.
Spesso è troppo facile pensare che l'antropologia si possa definire in termini di idee generali, paradigmi in competizione e scuole di pensiero. Mentre questi aspetti rappresentano una parte considerevole della «teoria antropologica» come è comunemente intesa, esiste nondimeno uno spazio per i battitori liberi. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda le frange del pensiero strutturalista, in cui i pensatori hanno cercato di integrare le idee sulla struttura con quelle sull'azione sociale (V. Turner, E. Leach come eclettici battitori liberi, ma anche R. Needham, D. Schneider ed E. Gellner).Meritano maggior attenzione però: Gregory Bateson e Mary Douglas.
1. Il poststrutturalismo e l'antropologia
E' come lo strutturalismo, una prospettiva soprattutto francese.
Jacques Derrida: i suoi scritti comprendono alcune critiche dirette al pensiero di Saussure e Lévi-Strauss.
Altri autori che possono essere definiti «poststrutturalisti» in modo più impreciso sono: il marxista L. Althusser, lo psicanalista Jacques Lacan, e il sociologo e antropologo Pierre Bourdieu. Da ultimo, c'è il filosofo e storico Michel Foucault che, con Bourdieu, ha avuto una profonda influenza sull'antropologia sociale nel corso degli ultimi venti anni.
Derrida, Althusser e Lacan
Derrida: ruppe con lo strutturalismo nel tentativo di esporre quello che riteneva l'errore di ogni analisi che accettasse la totalità del testo come unità di analisi. Ogni testo, sostiene, comporta delle contraddizioni. La nozione saussuriana di «differenza» (tratti distintivi e opposizioni binarie) si trasforma in un concetto complesso il cui significato è sia «differente» sia «differito». Il doppio significato del verbo francese différer («essere diverso», e «differire a un momento successivo») cattura per Derrida le contraddizioni incluse in ogni analisi sincronica e nella priorità assegnata da Saussure al linguaggio parlato rispetto alla scrittura.
=> in un certo senso-> rottura con il pensiero occidentale moderno in generale e con la sua ricerca di una comprensione universale.
Il metodo di D. di decostruire i testi ha anche influenzato i tentativi femministi di comprendere le differenze culturali nella percezione del maschio e della femmina.
Lacan: influenza più diretta sul femminismo e sull'antropologia femminista come reazione alle sue posizioni maschiliste-> «la donna non esiste», «la donna non è completa» perché non ha il pene.
Althusser: specialmente in Leggere il Capitale, si pronuncia a fovore di una distinzione tra una lettura «di superficie» di Marx e una lettura «sintomatica», che costituisce una comprensione più profonda e vera delle intenzioni di Marx, al fine di capire meglio la natura dei mezzi di produzione.
La teoria della pratica di Bourdieu:
Pierre Bourdieu: è stato professore di Sociologia al Collège de France. All'inizio della sua carriera insegnò in Algeria (tra l'altro, luogo di nascita di Derrida e di Althusser). Per lungo tempo ha conservato due diversi interessi di ricerca: l'educazione e la classe sociale nella società francese, e la parentela e l'organizzazione della famiglia nella società qabila, con una vena critica nei confronti degli abusi di potere delle autorità statali.
Teoria della pratica: è tuttavia più conosciuto negli ambienti antropologici per il suo interesse teorico nella «pratica» (es: analisi del matrimonio tra cugini paralleli patrilineari, dei rituali e dei cicli stagionali).
La comprensione oggettiva non coglie l'essenza della pratica, che è la comprensione di un attore.
Gli strutturalisti da Saussure a Lévi-Strauss rimangono al livello del modello, mentre B. richiede che ci si impegni nello studio della «performance». Nuovo ordine sociale basato su ciò che egli chiama habitus (dal latino: «habitat» o «stato abituale»).B. Sta essenzialmente dibattendo contro una nozione statica di struttura. L'habitus è a metà tra l'aggettivo e il soggettivo, il collettivo e l'individuale. E' culturalmente definito, ma il suo luogo è la mente dell'individuo. E' un tipo di struttura dell'azione sociale compiuta da esecutori culturalmente competenti. E' analogo alla concezione di N. Chomsky di «competenza» linguistica. L'habitus è costituito da «disposizioni» che i membri di una cultura sanno intuitivamente utilizzare. Gli individui compiono delle scelte su quali disposizioni seguire e quando, a seconda della comprensione che hanno di esse all'interno dell'habitus e della loro posizione nel sistema degli eventi. B. lo definisce come «il principio generativo, durevolmente insediato, delle improvvisazioni regolate» o come «un sistema di disposizioni strutturate e strutturanti.. sempre ordinate verso funzioni pratiche».
Gli individui, tuttavia, non hanno tutti un accesso uguale ai processi di assunzione delle decisioni. Questo è il punto in cui entra in gioco il potere. La teoria del potere di B.,implicita nella sua teoria della pratica, dice che quelle persone che possono imporre agli altri la loro «tassonomia pratica» del mondo, acquisiscono potere (es: con l'insegnamento ai più giovani, la dominazione culturale, o attraverso la «violenza simbolica»).
B. è stato tuttavia criticato per non essersi spinto abbastanza avanti nel riconoscimento della coscienza individuale. A dispetto di queste critiche B. è diventato uno degli autori più citati e ammirati nell'antropologia.
Al giorno d'oggi tutti i ricercatori sul campo hanno il desiderio di abbinare la loro base metodologica di matrice boasiana o malinowskiana, con la ricerca dell'habitus, che potrebbe essere in grado di spiegare le azione compiute dai loro informatori.
Per certi versi B. è riuscito dove i marxisti hanno fallito. Ha fatto muovere tutti gli studi antropologici nella direzione di un interesse per la pratica, conservando al tempo stesso un implicito riconoscimento della diversità culturale come fatto essenziale della condizione umana.
La teoria di Foucault: conoscenza e potere
Michel Foucault:: professore di Storia dei sistemi di pensiero al Collège de France
pose l'enfasi sull'assenza di ordine nella storia e si espresse per una maggiore significatività della parole (come intesa da Saussure) rispetto alla langue -> le strutture non sono preesistenti, e il discorso dovrebbe essere prevalente rispetto alla grammatica culturale.
L'ordine è creato dallo storico o dallo scienziato sociale che scrive di un evento, non da un attore che agisce in un determinato tempo e luogo.
Legame tra potere e conoscenza: il potere non è qualcosa che si possiede, ma è piuttosto è la capacità di manipolare un sistema. Il concetto di «discorso» nell'uso che ne fa F. ha a che fare con il modo in cui le persone parlano o scrivono riguardo a qualcosa, con il corpo di conoscenze e il loro uso, come avviene nelle strutture di potere.
Come per B., anche l'impatto di F. ha mutato direzione dell'antropologia sia nella ricerca sul campo sia nell'analisi teorica. Le sue idee sono utilizzabili sia nella teoria femminista sia negli studi che si occupano del dominio coloniale e postcoloniale.
2. Il femminismo nell'antropologia
Dagli studi sul genere all'antropologia femminista
Come antropologhe le donne sono state presenti sul campo sin dalla prima parte del Novecento, rimanendo però spesso in silenzio.
L'antropologia femminista crebbe a partire dall'«antropologia delle donne», e la differenza fondamentale tra le due consiste nel fatto che è la concezione delle relazioni di genere, e non solo ciò che le donne fanno, ad essere centrale nell'impresa femminista.
Henrietta Moore: segnala che, sebbene la causa scatenante di un approccio femminista in antropologia possa essere stata il mancato riconoscimento delle donne come oggetto di indagine etnografica, la vera questione ha a che fare con la rappresentazione delle donne. Sostiene che «l'antropologia femminista [..] formula le sue domande teoriche nei termini di come l'economia, la parentela e il rituale sono esperite e strutturate attraverso il genere, piuttosto che domandarsi come il genere sia esperito o strutturato attraverso la cultura».
Edwin Ardener: le donne per lungo tempo sono state rappresentate come «ridotte al silenzio». Egli sostenne che i gruppi dominanti della società mantengono il controllo dell'espressione => i «gruppi senza voce», come li chiamava lui, restavano relativamente in ilenzio. Tra questi, le donne sono il gruppo più importante, numericamente e per altri motivi. Anche dove le donne sono dotate di una propria voce, la loro possibilità di espressione è inibita dal fatto che esse non parlano la stessa «lingua» che parla il gruppo dominante: uomini e donne hanno visioni del mondo diverse.
Insieme di problemi che nascono dal privilegiare le donne come etnografe delle donne, identificati da H. Moore:
Deriva dall'idea che l'antropologia delle donne sia quasi una sottodisciplina.
Connesso all'assunto, sbagliato, che le donne siano dappertutto molto simili. La categoria di donna ha bisogno di essere indagata con più attenzione di quanto non avvenga. L'antropologia femminile dovrebbe basarsi sull'etnografia e non su assunti insulsi e tuttavia audaci.
Connesso alla concezione femminista di esperienza: Proprio come «l'economia, la parentela e il rituale sono esperiti [..] attraverso il genere», così lo sono l'etnicità e la razza. Una donna nera che vive a Londra, per es., non è solo una donna, una nera, e una londinese. La sua identità è costituita da una complessa e simultanea contestualizzazione di tutti questi aspetti, e di altri, come sostiene la concezione antropologica di R.-B.: l'essere umano come persona è un complesso di rapporti sociali.
Gli antropologi che hanno scritto sul genere si sono accostati alla materia con
due punti di vista (che non si escludono a vicenda):
a) Il genere come costruzione simbolica
Ardener: Belief and the problem of women;
Sherry Ortner: Nel suo saggio Is female to male as nature is to culture?, essa sostiene che dappertutto le donne sono associate alla natura -> questo è dovuto al fatto biologico che sono le donne a far nascere i figli, e non gli uomini. Inoltre O. sostiene che il ruolo riproduttivo delle donne tende a confinarle nella sfera domestica. Le donne quindi (e per certi versi anche i bambini) rappresentano la natura (e la sfera privata) mentre gli uomini rappresentano la cultura (e la sfera pubblica) -> O. prende le distanze dalla sua analisi, che è piuttosto frutto di una credenza universale fondata sull'opposizione strutturale tra natura e cultura.
Alcune obiezioni vengono da Jane Collier e Michelle Rosaldo: esse segnalano l'esistenza di casi etnografici che non possono rientrare in questo modello -> le società di cacciatori e raccoglitori dell'Africa meridionale, dell'Australia e delle Filippine non associano la nascita di un figlio o la maternità alla naturae nemmeno associano le donne semplicemente alla riproduzione e alle sue conseguenze -> queste società sono essenzialmente egalitarie e le donne condividono con gli uomini l'educazione dei figli
b) Il genere come sistema complesso di relazioni sociali
La prospettiva di Collier e Rosaldo è caratteristica dell'idea di genere come sistema complesso di relazioni sociali. Questo tipo di prospettiva tende a sottolineare il sociale rispetto al culturale, e spesso è alla ricerca della linea di confine che divide le società egalitarie da quelle a dominio maschile.
Rosaldo: è l'associazione con la sfera domestica o con la natura, a rendere subordinate le donne.
Le femministe di orientamento marxista hanno propagandato questa tesi con moltissima forza.
Eleanor Leacock: si è spinta oltre, sostenendo che in precedenza gli studiosi avevano ignorato la storia, specialmente il fatto che il colonialismo e il capitalismo avevano distorto le relazioni tra uomini e donne. La distinzione pubblico-privato era assente tra i cacciatori e raccoglitori nei tempi precedenti al contatto culturale, e che la subordinazione delle donne giunse solo con lo sviluppo della proprietà privata.
Ci sono stati molti tentativi di spiegare il dominio maschile generalizzato, e alcuni studiosi hanno combinato l'idea che il genere sia una costruzione simbolica con quella del genere come inserito nelle relazioni sociali.
Le grandi domande sulle origini così come quelle sull'origine della gerarchia di genere, si legano con l'interesse dell'antropologia femminista per l'esposizione delle relazioni di potere in tutte le loro forme, alla cui base in molti casi si presume che ci sia la differenziazione di genere.
Su un altro fronte, ci sono molti aspetti nell'antropologia più o meno di matrice femminista che mettono in discussione l'immagine del dominio maschile così come ritratto nelle etnografie tradizionali, e nuovi metodi di descrizione etnografica hanno avuto come risultato immagini abbastanza differenti della vita sociale, per esempio qulle presenti negli scritti di Lila Abu-Lughod sulle donne beduine -> l'autrice suggerisce che gli antropologi dovrebbero scrivere «contro la cultura» per combattere le gerarchie che il concetto implica.
L'incorporazione
Un nuovo tema, derivato sia dalla teoria femminista sia dagli interessi di Foucault, è quello che considera il corpo come fonte di identità che logicamente confonde la separazione di sesso e genere. La distinzione sesso-genere in realtà riproduce alcune distinzioni su cui essa ha la funzione di indagare.
Andrew Strathern e Pamela Steward paragonano l'incorporazione alla comunicazione come modelli per la comprensione del rituale: «nel suo senso più ampio, utilizziamo il termine “incorporazione” per riferirci alla fissazione di certi valori e disposizioni sociali nel corpo e per mezzo del corpo».
Donna Haraway: utilizza il concetto di incrporazione per indagare aspetti non solo del potere e del genere, ma anche della specie.
3. Due eclettici battitori liberi
Struttura e confltto: Bateson e il carattere nazionale
Gregory Bateson: Fu molto influente poiché tutti, da R.-B. Fino ai postmodernisti, ammiravano la sua abilità nel capire quelle che per altri erano semplicemente le stravaganze della cultura. Suo padre fu uno dei fondatori della genetica moderna. Studiò zoologia e antropologia a Cambridge, e in seguito si recò a svolgere una ricerca sul campo in Nuova Guinea, dove incontrò Margaret Mead, con la quale si sposò -> insieme effettuarono delle ricerche a Bali. Era fortemente impegnato con il movimento ecologista, e a favore di approcci estremamente progressisti per quanto riguardava l'educazione a tutti i livelli. A partire dal suo studio etnografico sul naven, una cerimonia degli iatmul, B. sviluppò un'attitudine a comprendere gli aspetti bizzarri della cultura per mezzo dell'analisi delle forme, e considerando queste ultime in relazione all'azione.
Saggi: Morale e carattere nazionale, basato sulla comparazione di aspetti della cultura tedesca, russa, inglese e americana durante la seconda guerra mondiale -> Problema fondamentale: se si mette un maschio americano in una stanza con un maschio inglese, l'americano sosterrà da solo quasi tutta la conversazione e parlando soprattutto di se stesso (passando per spaccone), mentre l'inglese se parlerà, lo farà con modestia (passndo per arrogante). Conclusione: Sia l'inglese che l'americano si stanno comportando nel modo che ritengono più appropriato, tuttavia l'inglese considererà l'americano uno spaccone, e l'americano considererà l'inglese arrogante. Perchè ciò accade? La risposta di B. si basa su due opposizioni:
autorità-sottomissione ->associata allo stato genitore e figlio
esibizionismo-ammirazione -> varia nella misura in cui essa è rilevata come autorità o sottomissione.
Spiegazione: L'americano tratta l'inglese come un genitore, e questo in entrambe le culture è un modo per essere educati. Per l'inglese però l'esibizionismo è un segno di autorità e crede erroneamente che l'americano stia cercando di essere autoritario. Implicita in tutto questo è la distinzione tra due concetti che B. chiamò con i termini greci eidos ed ethos. La cultura è costituita da entrambi -> l'eidos è ciò che generalmente chiamiamo «forma» o «struttura». Le coppie di opposizioni descritte nel suo studio sul carattere nazionale (ammirazione-esibizionismo; autorità-sottomissione) sono parte dell'eidos della cultura inglese e americana. L'ethos si riferisce ai costumi, alle tradizioni, e anche ai sentimenti, alle emozioni collettive di una cultura, allo spirito di quelle culture o eventi. L'ethos sembra dipendere dalla relazione tra l'eidos di una cultura e quello di un'altra.
I mtodi utilizzati da B. sembrano particolarmente adatti all'analisi del conflitto, reale o potenziale, ed egli sviluppò un approccio in grado di comprendere il conflitto di genere tra gli iatmul e la corsa agli armamenti nucleari tra Est e Ovest.
Struttura e azione. Mary Douglas: griglia e gruppo
Mary Douglas: Approccio essenzialmente strutturalista, anche se è sviluppato all'interno di un quadro di riferimento essenzialmente dinamico. Ha compiuto studi di filosofia, politica ed economia a Oxford, dove in seguito studiò antropologia sotto la guida di Evans-Pritchard. Ha condotto ricerche sul campo in Congo, ha insegnato per molti anni all'University College di Londra. E' diventata direttrice della Russell Sage Foundation di New York e ha continuato ad insegnare fino alla pensione. I suoi primi lavori sono abbastanza semplici con un interesse particolare per l'economia e la religione.
Studiò i concetti di purezza e contaminazione tra i lele, gli antichi ebrei in Gran Bretagna.
In Purezza e pericolo, e in Simboli naturali sviluppò un quadro di riferimento da lei chiamato «analisi griglia-gruppo»: è un metodo per descrivere e classificare culture e società.
Douglas e i suoi seguaci si sono interessati non tanto alle misurazioni quantitative, quanto all'opposizione strutturale, cioè alla presenza o assenza di limitazioni derivate da una condizione di griglia forte, o di gruppo forte. Essere in una posizione di griglia debole vuol dire avere la libertà di agire o l'opportunità di interagire con altri su un piano paritario, al contrario essere su una posizione di griglia forte significa essere isolati o limitati dal sistema sociale nei processi di assunzione delle decisioni. La dimensione di gruppo è una misura della coesione di gruppo, sia che le persone al suo interno facciano ogni cosa insieme (gruppo forte) sia che agiscano individualmente (gruppo debole) => ci sono solo 4 combinazioni logiche che D. identifica convenzionalmente in quadranti (con le lettere dalla A alla D). Il suo libro Orientamenti culturali (1978) rimane la migliore introduzione alla sua teoria.
Mary Douglas e i suoi allievi hanno effettuato comparazioni su un certo numero di situazioni. Il suo metodo funziona nel modo migliore quando si paragonano cose simili. Tuttavia le sue prime ipotesi sulla comparazione di intere società non hanno dato i frutti sperati. Rimane da vedere se ci può essere un nuovo centro d'interesse all'interno di questo paradigma.

Capitolo decimo
Approcci interpretativi e postmodernisti
Dopo la morte di R.-B., nel 1955, l'antropologia britannica prese quattro strade differenti.
-alcuni proseguirono lungo la direzione di ricerca di R.-B.
-altri, come Firth, giunsero a mettere l'accento sull'azione individuale piuttosto che sulla struttura sociale, un approccio in parte derivato dalla versione del funzionalismo basato sulla ricerca sul campo, tipica dei primi lavori di Malinowski. Questa linea di pensiero si sviluppò in teorie come l'approccio processuale e il transazionalismo.
-altri fecero ricorso ad almeno alcune idee strutturaliste di L.-S., adattandole a nuovi interessi nel processo sociale.
-infine un buon numero finì col seguire E.-P. Nel suo rifiuto della concezione che l'antropologia fosse una scienza, in favore di un approccio interpretativo che collocava saldamente l'antropologia nell'ambito delle scienze umane.
Negli Stati Uniti, Clifford Geertz iniziò a proporre la sua versione dell'interpretativismo. Nelle sue mani (e in quelle di Evans-Pritchard) l'antropologia cambiò analogia linguistica. Le culture erano linguaggi da tradurre in termini comprensibili ai membri di altre culture.
Filosofi e critici letterari svilupparono nuovi, postmodernisti modi di guardare il mondo. In larga misura questo fatto derivò dall'opinione che il mondo stesso aveva subito una rivoluzione silenziosa, in cui non c'era posto per nessun tipo di teoria generale, con l'eccezione del postmodernismo stesso!
L'interpretativismo già presente svolse una funzione fondamentale. Nello stesso periodo l'antropologia femminista si sviluppò e mise ulteriormente in discussione i modelli androcentrici, riflessività divenne un sinonimo di metodo etnografico, la scrittura e la lettura acquisirono valenza teorica nella nuova antropologia, consapevole della letteratura.
Ciò che questi filoni hanno in comune una concezione dell'antropologia come rifiuto del metodo scientifico, il riconoscimento dell'importanza della scrittura, e il tentativo di acquisire conoscenza per mezzo della comprensione umana piuttosto che con metodi formali di ricerca e analisi.
1. L'approccio intrepretativo di Evans-Pritchard
Evans-Pritchard: fu allievo di Seligman e di Malinowski. Apre la strada all'interpretativismo.
I suoi resoconti della stregoneria tra gli azande e sulla politica e la parentela tra i nuer ebbero la funzione di essere unn perfetto esempio dell'antropologia britannica di quel tempo e di ispirare le generazioni successive dal punto di vista teorico.
Stregonerie, oracoli e magia è un'etnografia dei processi di pensiero degli azande (ossessionati dalla stregoneria). Nuer Religion riguarda la definizione di kwoth, inteso come «soffio», che nella sua accezione metaforica , può riferirsi a spiriti di vario tipo, compresa l'entità nuer che E.-P. Traduce con «Dio».
E.-P praticò la sua teoria all'interno del quadro teorico di R.-B., tuttavia diversamente da lui si pronunciò per considerare l'antropologia una materia umanistica e non una scienza e sviluppò l'idea che l'antropologia fosse una «traduzione di culture» -> avvicinarsi il più possibile alla mentalità collettiva della popolazione studiata, per poi «tradurre» le idee estranee che vi trovano in idee equivalenti all'interno della loro cultura.
Egli rifiutò l'idea lévistraussiana di una «grammatica» della cultura preferendo un'idea di «significato» nel più sottile e quotidiano discorso della cultura -> difficoltà di traduzione -> l'antropologia è sempre prigioniera del dilemma del traduttore. In Introduzione all'antropologia sociale offre una concezione dell'oggetto dell'antropologia come la totalità dei sistemi morali e simbolici, che non sono retti da leggi naturali, benché coinvolgano strutture sociali e modelli culturali. Posizione ambigua: era forse uno struttural-funzionalista sotto il quale si celava un epistemologo? Mary Douglas suggerisce che egli fu sempre un pensatore interpretativo. Le sue opere indicano sempre un desiderio di innovazione, soprattutto per quanto riguarda il suo interesse per i sistemi di credenze. Quali che siano le posizioni precedenti a Nuer Religion, la pubblicazione di questo libro segna un distacco dallo struttural-funzionalismo verso un nuovo tipo di ragionamento sulla natura della credenza religiosa (certe analogie con Durkheim).
La sua posizione contro il funzionalismo: Egli sostiene che il fallimento dell'antropologia sociale dall'Illuminismo in poi è consistito nel modellarla sulle scienze naturali, e suggerisce che è meglio considerarla una scienza storica o, più in generale, come un settore delle scienze umane.
A Oxford fu titolare della cattedra di Antropologia Sociale. Il suo spirito aleggia ancora lì: è il suo busto, e non quello di R.-B. O Tylor, che abbellisce la biblioteca dell'Istituto di Antropologia Sociale e Culturale, ed è la sua opera quella che la tradizione di Oxford ha continuato.
2. L'interpretativismo di Geertz
Clifford Geertz: Se l'antropologia di E.-P. era, come nessun'altra, una reazione contro il progetto struttural-funzionalista, quella di Geertz rappresenta un passo avanti nella comprensione dei piccoli particolari della cultura come fini a loro stessi. G. si è formato ad Harvard, ha insegnato a Berkeley e a Chicago. Ha svolto ricerche sul campo a Giava, Bali e in Marocco.
In Agricultural Involution (1963) si situa nel vasto quadro di riferimento dell'antropologia ecologica di Steward, mentre altre sue opere sul mutamento sociale si collocano nell'ambito della storia sociale. In Islam (1968), G. sposta l'attenzione sulla comparazione, nel tentativo di comprendere l'Islam. A differenza di E.-P. non rifiuta il «metodo comparativo» come impossibile!
Il nucleo della sua antropologia interpretativista, è il saggio Interpretazione di culture, concluso e pubblicato l'anno della morte di E.-P., nel 1973 => l'antropologia consiste nell'esaminare gli strati incorporati in una particolare cultura e nello svelarli attraverso livelli di descrizione. I critici hanno sottolineato l'ambiguità della definizione che G. dà di «thick description» (descrizione dettagliata e stratificata), così come la superficialità di alcune sue etnografie. Eppure, la sfida che G. lancia è, rispetto a E-P, più dettagliata e ricca di metafore.
G. opta per un'immagine della società «come un testo», si pronuncia ance per una concezione dell'antropologia come comprensione del «locale» in stretto rapporto con il «globale», e per la cultura come sistema simbolico, all'interno del quale ha luogo l'azione sociale e si produce il potere politico.
Le sue raccolte di saggi sono probabilmente lette tanto fuori dalla disciplina che dagli antropologi. In alcune delle sue opere più recenti si è avventurato ulteriormente lungo il sentiero dell'interpretativismo attraverso la reinterpretazione dell'etnografia di altri. In Opere e scritti egli esamina gli scritti di E.-P., Malinowski, L.-S. e Benedict. G. sostiene che l'antropologia è semplicemente un modo di «scrivere». Al di là del fatto se la sua enfasi sulla scrittura sia eccessiva o meno, ha attirato ulteriormente l'attenzione sull'antropologia come impresa creativa. Oggi G. resta uno degli esponenti più influenti dell'antropologia, sia dentro sia fuori la disciplina. Il suo interpretativismo ha indubbiamente tracciato il sentiero su cui muove l'antropologia postmoderna. Tuttavia, prima di addentrarci nelle sfumature del postmodernismo, è bene prendere in considerazione ulteriori fondamenti teorici -> nuovi concetti e interessi che vanno oltre quelli di Geertz.
3. Mutamenti concettuali
Riflessività e riflessivismo
Tutti gli antropologi effettuano comparazioni di questo o quel genere, tra società lontane, simili alla loro, etc. Un caso di riflessività spinta all'estremo è la comparazione esplicita che l'antropologo fa della propria cultura => la cultura che si descrive può diventare un semplice sfondo per l'antropologo, che esplora la propria identità culturale e sociale. La prima pubblicazione esplicita in questo senso è il saggio di Judith Okely, The Self and Scientism. Tuttavia, le radici in cui affonda la riflessività sono ancora più profonde: il diario di campo di Malinowski è l'esempio più conosciuto -> qui M. intendeva solo registrare le sue riflessioni private, ma finì con l'essere pubblicato 25 anni dopo la sua morte.
L.-S. incluse molte note autobiografiche in Tristi tropici (1955), benché anche lui le separasse dlle sue riflessioni etnografiche e teoriche. Ciò che rende fondamentalmente diverso l'operato di molti autori postmoderni è l'affermazione che la riflessività stessa è etnografia, o almeno una parte centrale di essa.
La riflessività ha forti legami con l'antropologia femminista (H. Moore). Intorno alla metà degli anni Ottanta non era insolito che l'antropologa si ponesse come il principale soggetto del discorso antropologico, nel momento in cui la riflessività incontrava consenso all'interno dei circoli postmodernisti e specialmente femministi, per trovare infine consensi nell'antropologia nel suo complesso.
Un'ulteriore tendenza si riscontra negli studi dove la ricercatrice, partendo dalle proprie esperienze, si fa portavoce di una più ampia comunità di oppressi, o cerca di dare «voce» glioppressi attraverso se stessa (Spivak e Abu-Lughod). L'idea di fondo è che c'è qualcosa in comune tra i gruppi «subalterni» o subordinati, sia la subalternità sulla base del genere, della classe, dell'appartenenza etnica, o della storia dell'ingiustizia coloniale.(Sherry Ortner e la thinness geertziana).
Altre tendenze, negli ultimi dieci anni si sono mosse verso la moderazione, si facendo sì che la riflessività personale si unisse alla riflessione sulla teoria, sia mettendo in primo piano le esperienze riflessive dei tradizionali oggetti dell'etnografia (K.Hastrup e Pat Caplan).
Un'ltrotipo di riflessività è quella che prende in esame non un Sé individuale, bensì uno collettivo (es: lo studio di Alcida Ramos sull'etnografia degli yanomami in Brasile -> l'immaginario che si è costruito attorno a loro è potente).
4. Orientalismo, occidentalismo, globalizzazione
Un elemento importante dell'antropologia postmodernista è l'interesse per il potere, derivato, tra gli altri, da Foucault. Il concetto fu utilizzato per la prima volta da Edward Said, un critico letterario palestinese da lungo tempo residente negli Stati Uniti: l'Occidente, sostiene Said incalzando nella polemica, ha bisogno dell'Oriente anche per definire se stesso (in riferimento alla trama di relazioni ineguali tra l'Occidente e il Terzo Mondo). Rececentemente, tuttavia, gli antropologi hanno rovesciato l'argomentazione i Said (in particolare James Carrier in Occidentalism) -> è probabile che i popoli «orientali» abbiano una visione distorta e generalizzata dell'Occidente allo stesso modo in cui gli«occidentali» ce l'hanno dell'Oriente.
Le relazioni tra Occidente e oriente, siano esse immaginarie o reali, sono oggi collegate al processo di globalizzazione. Norman Long parla di «globalizzazione». «localizzazione», e persino di «rilocalizzazione».
La vera condizione postmoderna, si riflette nell'interessante studio che Marc Augé dedica ai non luoghi globalizzati come i campi profughi, gli hotel delle grandi catene internazionali, le autostrade, le sale d'attesa degli aeroporti.
La globalizzazione è un tema popolare e attuale. Il lato ironico è che dal punto di vista teorico essa può essere facilmente vista come vicinissima alla prospettiva teorica meno popolare, il diffusionismo.
Il postmodernismo e l'antropologia postmoderna
Il postmodernismo rappresenta una critica rivolta a ogni genere di comprensione «moderna». I postmodernisti rifiutano sia la teoria generale in antropologia, sia la concezione che la descrizione etnografica possa essere completa. Si oppongono alla presunzione di autorità etnologica da parte dell'antropologo. La riflessività e l'incorporazione, quindi, diventano attuali. Il postmodernismo è anche uno sviluppo logico sia del relativismo sia dell'interpretativismo, a tal punto che è difficile distinguere queste prospettive se non a un livello superficiale.
5. Il ritorno al relativismo
Sjaak van der Geest: il relativismo non è l'assenza di un dogma, ma un dogma esso stesso.
L'antropologia, negli ultimi dieci anni, è passata da una concezione blandamente relativista secondo la quale ogni cultura ha il proprio sistema di valori o la propria struttura semantica a un punto di vista, ben più forte, che ricordi quelli di Benedict e Whorf. Solo che ora questo punto di vista è espresso nel gergo del postmodernismo.
Lyotard, professore di filosofia: «semplificando al massimo, possiamo considerare postmoderna l'incredulità nei confronti delle metanarrazioni».
In altre parole, per un antropologo postmodernista non si può fare un'affermazione vera e assoluta riguardo a una cultura. La teoria generale quindi è condannata a un triste destino – eccett, sembra, la metanarrazione del postmodernismo stesso!
Scrivere le culture
Il principale testo dell'antropologia postmodernista è Scrivere le culture [Clifford e Marcus, 1986], tratto da un convegno su «La costruzione dei testi etnografici».
Il tema unificante è la presa in considerazione dei metodi letterari nel discorso antropologico.
Secondo i postmodernisti, i punti di vista sono arbitrari.
6. I problemi del postmodernismo
In sintesi: L'impresa interpretativista e quella postmodernista
Per i postmodernisti moderati (compresi gli interpretativisti che si rifanno a Geertz), la società è come un testo che l'etnografo «legge» proprio come i lettori leggerebbero un suo testo. Altri postmodernisti sembrano considerare la cultura come «frammenti e pezzi» dov ogni frammento e ogni pezzo agiscono su ogni altro. Per alcuni, la cultura è una serie di giochi di parole o di «figure retoriche». L'etnografia è quasi la stessa cosa, e la teoria antropologica è qualcosa di più. Secondo molti appartenenti a queste scuole, non ci dovrebbero essere teorie analogiche generali, salvo che per la cultura, che è, in un certo senso, «come un testo». Tutto è relativo, in etnografia non c'è verità.
Sembra esserci, tuttavia, una battaglia sotterranea tra interpretativisti e postmodernisti. Una parte considera l'etnografia come fine a se stessa, o piuttosto come il tentativo di arrivare a una comprensione che tuttavia non raggiunge quasi mai il livello che in precedenza si sosteneva raggiungesse.
L'altra parte impegnata in questa battaglia considera l'etnografia come uno strumento per raggiungere un fine, uno strumento per costruire una comprensione più ampia della natura umana. Per questi antropologi, interpretativisti per indole e influenzati dagli aspetti più positivi della critica postmodernista, c'è speranza.
Quella che praticano è una disciplina che svolge una ricerca nomotetica:
7. Approcci misti: verso un compromesso?
Robert Layton caratterizza l'antropologia contemporanea come polarizzata tra l'ecologia sociale e il postmodernismo (troppo estrema, anche se in essa c'è qualcosa di vero). In numero sempre maggiore, gli antropologi sono felici di mescolare gli approcci e di trarre elementi da tradizioni teoriche diverse. Questo sta accadendo almeno dagli anni Cinquanta -> 3 filoni di pensiero: Strutturale, interattivo e interpretativo.
C'è nondimeno un grande potenziale per aspirare a un tipo di comprensione che tragga elementi da due di questi filoni o anche da tutti e tre. Recentemente alcuni autori hanno fuso interessi di tipo interattivo e altri di tipo interpretativo ; alcuni altri hanno messo insieme struttura e intrepretazione. Risposta: il futuro dell'antropologia può consistere nella fusione di vari approcci. Ai sociologi, ed ad alcuni antropologi, piace pensare in termini di tre grandi teorici sociali – Marx, Durkheim e Weber . Essi sono come i colori primari. Si possono mescolare, o piuttosto mescolare i filoni differenti del loro pensiero, per giungere a quasi ogni posizione teorica.
Carla Pasquinelli: antropologa italiana ha identificato 3 fasi de pensiero antropologico:
- la fase materiale (interessata ai costumi e che copre il periodo che va da Tylor a Boas);
- la fase astratta (interessata ai modelli, per esempio Kroeber e Kluckhohn);
- la fase simbolica (interessata al significato e della quale un esempio è Geertz).
Ma può esistere un'antropologia senza oggetto? Se non studiassimo la cultura e la società, cosa sarebbero l'antropologia culturale e sociale? Questo è il dilemma in cui il postmodernismo ci ha lasciato.
L'antropologia culturale resta un campo in cui esistono punti di vista differenti. La generazione attuale può scegliere di svolgere un lavoro innovativo oppure di accettare completamente la condizione postmoderna. La fusione delle vecchie idee, di ogni genere, sembra essere la scommessa più sicura.

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